Discussioni generali
1. Tanto più si è legati al mondano, quanto più diventa incomprensibile e insostenibile l’universalità.
2. Chi più capisce, più patisce.
3. I miracoli sono fatti per aprire le menti chiuse e sciogliere i cuori duri.
4. Coloro che fanno a meno di Dio e credono che l’uomo sia tutto e non abbia bisogno di Dio, accettano poi che con la morte proprio questo uomo si nientifichi, polverizzandosi, mentre quelli che accettano il limite creaturale e la finitezza credendo in Dio, in questo singolare chiasmo, poi, dopo la morte, desiderano essere eterni. C’è da chiedersi chi consideri maggiormente l’essere umano e gli dia più importanza.
5. Alla pubblicità si concede tutto: inganni, esagerazioni, luoghi comuni, sdolcinerie, effetti speciali, dissacrazioni, invasività, cattivo gusto, lavaggio del cervello, blasfemia, adulazioni, banalità e molto altro, perché per il guadagno di chi pubblicizza, tutto è permesso, e ogni consumatore è una potenziale preda da adescare, in ogni modo e con ogni mezzo, estenuandolo, opprimendolo, martellandolo, assillandolo, ingannandolo. E tutto avviene con la nostra complicità di consumatori. Nel mondo della comunicazione, la pubblicità è sempre la comunicazione più anarchica, che si riveste persino dei panni di essere per ogni cittadino un “servizio”. Come tale è il campo dell’autentica sperimentazione comunicativa e di ogni novità espressiva.
6. Con il passar del tempo, invecchiando, si diventa sempre più sintetici, essenziali. Si capisce quanto superfluo abbia invaso, nel passato, la nostra vita. La grande sintesi dovrà essere alla fine, espressa con una sola parola, “amen”.
7. Il comunismo è fascismo con un altro colore. L’essenza, poi, è la medesima: la massa socialista come riferimento e la presunzione di un “giusto” da imporre a tutti. Dunque il fascismo è comunismo mascherato e il comunismo è fascismo mascherato: parlano la medesima lingua, quella fascista, per usare l’aggettivo dispregiativo oggi più comune.
8. Ogni capodanno si vive il consistenzialismo in modo pieno e visibile. Infatti, festeggiamo in definitiva il tempo che passa (e che ci avvicina alla morte), ma con la forza del possibile, quel nuovo anno che, si spera, sia migliore del precedente. Una illusione reciproca che ci permette di andare avanti, esorcizzando la transitorietà.
9. Correre, correre, aver fretta esprimono, inconsapevolmente, il desiderio, l’anelito ad ampliare il tempo delle possibilità, riducendo al minimo quello della realtà.
10. Noi cristiani siamo oggi indirizzati ad essere i buonisti di ogni situazione, andando a fare i conti della serva su qualunque decisione, politica o meno, ricordando alla gente buoni propositi, attenzione agli ultimi, e infondendo consigli, ammonimenti e ottimismo in gran quantità. Così sono accidentalmente incappato in un’intervista a un prete che, in modo accalorato, criticava la scarsa natalità in Italia, ricordando che in questo modo non ci sarebbero fondi per le pensioni future, essendo drasticamente ridotta la quota dei contributi e diminuirebbero anche certi consumi a danno del commercio. Mi piacerebbe sapere cosa c’entrasse in tutto questo il suo abito talare.
11. La donna è il capolavoro di Dio. Non c’è una cellula che sia neutrale nel suo corpo, non c’è un solo aspetto che sia indifferente nella sua persona. E basta una voce femminile per rasserenare. Per questo motivo, ogni donna è bella.
12. In un albero o in una pianta, c’è una misteriosa relazione o corrispondenza tra la ramificazione esterna e quella delle radici sotto terra? Una contrapposizione, una complementarietà, una simmetria, una prosecuzione, un’alternanza?... Oppure semplicemente ciascuna rincorre il proprio nutrimento? Eppure un bonsai manifesta quanto sia importante questa relazione.
13. Perché ho così spesso la percezione nitida che il Cristianesimo sia trasformato in un sostegno psicologico e/o consolatorio per affrontare meglio questa vita? Perché avverto questo spostamento dell’Annuncio verso l’immanenza e i suoi problemi e affanni piegando le cose celesti a mero placebo per rendere più tollerabile il quotidiano? «Maledetto che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno» (Ger 17,5); «se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (I Cor 15, 19).
14. Quando mai Gesù ha espresso parole dure verso il dominio romano? Contro vessazioni, sorprusi e ingiustizie del potere? Quando mai ha alzato la voce contro l’espansionismo romano, contro le guerre perpetrate per conquistare nuovi territori senza motivo se non l’ambizione del potere? Quando mai Gesù si è fatto interprete del desiderio d’indipendenza del Suo popolo di fronte alle violenze di Roma? Quando mai ha denunciato la povertà alla quale era costretto Israele dalle tasse romane e dalle violenze degli aguzzini dei dominatori? E non è andato a cercare ciechi, storpi, lebbrosi, zoppi, morti per miracolarli e dare felicità terrena. Solo chi ha incontrato casualmente e ha espresso la sua fede è stato benedetto dal Signore con il miracolo. Nulla è stato fatto da Gesù per un benessere terreno, per creare un Eden terrestre, per migliorare il mondo sul piano economico, politico, giuridico o sociale. Eppure erano tempi cruenti, duri, violenti, pieni di guerre e fortemente aggressivi nelle relazioni tra Stati e tra persone. E ha forse parlato di una pace politica, magari cercando vie diplomatiche con il Sinedrio, con le istituzioni di Roma e il gruppo militante armato degli Zeloti? Barabba poteva farlo, Barabba aveva questi obiettivi, non certo Gesù. E a quel tempo la gente aveva capito bene la differenza preferendo Barabba, cioè, la ricerca concreta di un benessere materiale ai danni di Gesù il cui regno “di lassù” non interessò neppure Pilato. Ma non è così anche oggi?
15. Induisti e buddisti in Oriente fanno di tutto per vincere il ciclo delle rinascite e non vivere più alcuna reincarnazione. E cosa fanno gli occidentali snob che orecchiano queste dottrine lontane, più o meno da incompetenti? Fanno della reincarnazione una sorta di speranza, un’altra vita possibile che possa sostituirsi a quella che si sta vivendo. Non c’è neanche un lontano sentore del significato di compimento e senso, ma solo una quantità estesa, eletta a valore, disperatamente proposta come un clone di questa vita. L’immortalità non è più approdo alla quiete della Verità e dell’appagamento alle nostre inquietudini e ai nostri affanni: basta sperare di rinascere e di rivivere, ripetendo le medesime inquietudini e gli stessi affanni. Un materialismo al quadrato.
16. Qualcuno pensa che affermare che tutto sia sacro è un’affermazione religiosa, profondamente nutrita di una divina relazione. In realtà, è un’affermazione che compete all’ateo, per il quale, davvero, la trascendenza e Dio possono essere messi da parte proprio perché ogni cosa è divinizzata, è sacralizzata. L’omogeneità, l’uniformità, l’equivalenza sono sinonimi di caos. Il sacro è la differenza. Rispettare il sacro è riconoscere questa differenza. Che è come dire, suo sinonimo, riconoscere l’alterità.
17. Si sente ancora qualcuno che sostiene che la donna valga meno e sia meno capace dell’uomo. Mi chiedo e chiedo: se da quando l’uomo è comparso sulla terra perdiamo la testa e ci giochiamo la vita per la donna e la rendiamo madre dei nostri figli, l’alternativa è semplice: o l’uomo è poco capace come la donna o la donna è capace come l’uomo. In entrambi i casi si ha un egual valore dell’uomo e della donna.
18. Adamo, il primo uomo mitico, che come tale non è stato reale, ma fondativo e dunque vero, fu «tratto dalla terra, …fatto di terra», con un corpo che appartiene all’animalità, la terra, appunto, Adamah, o, se si vuole, alla natura. È una condizione che viviamo tutti indistintamente in quanto uomini. Poi ci fu “l’ultimo Adamo”, come lo definisce Paolo (1 Cor 15, 45), «spirito datore di vita», «uomo che viene dal cielo» (ivi, 15, 45-47). L’ultimo Adamo è Gesù, il quale incarnatosi, ha avuto un corpo, ma ha aperto la strada a quel soffio del Creatore presente sin dall’inizio in Adamah, che ha reso l’Adamo mitico, dunque ogni uomo, un ente creato a immagine e somiglianza di Dio. Ciò significa che nella realtà che si vive, naturale-biologica e storica, si è aperta la via verso la luce, verso ciò che è oltre l’animalità, la terra, la consunzione e la fugacità corporea. E così come siamo tutti uguali all’uomo terrestre, Adamo mitico, sta a noi scegliere di essere simili all’Adamo celeste. Dipende dalla nostra libertà.
19. Amare il proprio nemico è il riferimento che permette di capire come l’amore non si misura sull’analogia, l’identità o l’uguaglianza, ma sulla differenza. Tanto più è altro, quanto più mi scuote la sua presenza che devo saper amare. Amare chi mi ama è amare un alter che però è un alter-ego. Per questo motivo credo che l’amore sponsale, l’amore coniugale, quello che si viene a creare tra due persone estranee, sia ben più profondo di quello genitoriale, filiale e fraterno, che ha alla base il legame di sangue e che, di conseguenza, nasconde un amore verso l’altro in quanto parte naturale di me.
20. Amare il proprio nemico è come la “macchina di Carnot”: irraggiungibile, ma essenziale come criterio e parametro di valutazione. Esso indica quanto l’amore sia innaturale. La sua origine è trascendente. Questo significa che Dio è Amore. Significa che l’amore è assoluto, non transitorio e fugace. Quando Gesù dice di darci un comandamento nuovo, quello di amarci gli uni gli altri come Egli ci ha amato, dove starebbe la novità? Che se fondo l’amore sul piano storico, lo condanno inevitabilmente a quanto la storia è: transitorietà, interscambiabilità, mutamento e fugacità. Se invece fondo l’amore sul piano dell’Assoluto, esso non finisce, è eterno. Sono io che non sono stato in grado di amare. L’uomo, come nell’apologo della volpe e dell’uva, non riuscendo ad amare per tutta la vita, con un gioco di maldestro prestigio, ha fatto passare l’amore come una cosa transitoria e quasi condannata a finire, come se l’amore esistesse in quanto l’uomo ama. In realtà, noi amiamo perché esiste l’amore.
.