Caro Federico mi è molto piaciuto il pezzo che ha inviato. Sul tema dell'ateismo i livelli di lettura sono diversi. Uno, storico-"religioso" espresso dal nichilismo buddhista, forse l'ateismo più onesto e intelligente: senza Dio l'uomo diagnostica la vita come sofferenza e senza speranze all'orizzonte, cercando soltanto di uscire dal ciclo delle rinascite. Se passiamo a livello sociale ogni assolutizzazione del particolare rivela forme idolatriche che riecheggiano l'arcaico originario "sarete come Dio": si rivestono di panni divini elementi fugaci, terrestri, limitati, che sono di volta in volta l'ideologia dominante, il benessere, la corporeità, il successo, il denaro, il sesso e il piacere, ecc. Sul piano filosofico l'ateismo ha avuto diversi esponenti (Feuerbach e Marx, Freud e Stirner ne sono solo un esempio), che di volta in volta sono stati assunti dalla gente, in modo banalizzato, come tutors e "guardie del corpo" delle proprie superficiali opinioni. Poi c'è un livello certamente filosofico, ma che fa tesoro anche della storia e della fenomenologia delle religioni, della filosofia della scienza e della fenomenologia filosofica ed ermeneutica e che convergono sulla sua tesi: di fatto parlare di ateismo è fuori luogo. Perché? In fondo, la radice dell'uomo e che lo ha caratterizzato come tale è l'aver preso le distanze dalla natura e dalle sue risposte. La nascita della cultura, della storia, delle civiltà sorge precisamente da questo, dall'aver osservato la pur temuta e divinizzata natura, come insufficiente per sé, estranea alle proprie richieste umane, ai propri progetti. Aver riconosciuto che essa è manchevole presuppone che nell'uomo, mediante uno strumento che di volta in volta (chiamato in causa scioccamente come una sorta di deus ex machina) è stato indicato come ragione, pensiero, intelligenza, stadio evolutivo, ecc., presuppone, dicevo, una pur oscura ma presente idea di pienezza, altrimenti l'insufficienza, l'assenza, la mancanza non sarebbero riconosciute e intercettate. Questa pienezza che la Genesi indica come il soffio di YHWH, che Agostino coglie come illuminazione, l'orma celeste di Dio nell'interiorità dell'uomo, che Rosmini presenta come l'idea dell'essere, innata e antecedente ogni ente e che personalmente presento come "possibile infinito", di sicuro non provengono dalla natura. Anzi proprio la distanza tra l'infinità della domanda dell'uomo e la finitezza inconsistente delle risposte naturali genera la libertà, tanto più estesa e ampia quanto più questa distanza è irrisolvibile umanamente. In effetti, nella natura domina la necessità in quanto come due vasi comunicanti, c'è equilibrio tra domanda e risposta e ogni animale e pianta ha ciò che cerca e che lo fa essere, senza dover ulteriormente cercare di essere. E dunque? Dunque, la domanda che ci fa uomini e che racchiude quell'esigenza umana e quella volontà e tensione alla verità e al meglio, è TRASCENDENTE, cioè inscritta nell'uomo non dalla natura (ecco perché siamo costretti a costruire la storia e le civiltà!) ma da una presenza che è oltre e va oltre pur essendo in ognuno di noi. Sete d'infinito? di bellezza e verità? di benessere e pace? di felicità e appagamento? di serenità e gioia? di gratificazione e compiutezza? La si chiami come si vuole, noi cerchiamo perché non abbiamo, ma per cercare abbiamo colto l'assenza di queste cose, anche se nessuno le ha mai sperimentate, se non in attimi, abbaglianti e rivelativi, vere e proprie spie celesti di un qualcosa che in noi ci trascende e ci obbliga a intervenire sulla natura con la speranza di fare meglio ogni volta (il tanto decantato progresso). Da questo punto di vista l'ateismo non esiste perché il problema non è mai l'inizio, come erroneamente pensiamo. Alle sue spalle c'è una relazione: aver colto l'insufficienza di ciò che siamo, di ciò che facciamo, di ciò che ci circonda. L'ateo non fa che impiegare il suo capitale spirituale nell'assolutizzazione della realtà, come se essa, nella sua finitudine e precarietà, una volta resa assoluta, perdesse questa sua identità destinata a morire e a non lasciar traccia. Non è intellettualmente corretto assolutizzare il relativo e se nego Dio, immediatamente e automaticamente sto, in modo contraddittorio, assolutizzando la realtà, la storia, l'uomo, la natura. Cioè tutte realtà condannate a morte e proprio per questo non assolute. E' un capitale spirituale investito male, che, al fondo, anche delle persone che si presentano democratiche e tolleranti, manifesta la pretesa che tutto è compreso e giudicato e non vale la pena neanche del beneficio del dubbio. A Dio, l'ateo sostituisce se stesso, con le medesime prerogative di aver capito tutto, di poter giudicare su tutto, di sdegnare con supponenza (fatta salva l'ipocrita dichiarazione pubblica di rispetto) tutti coloro che credono, adolescenti che ai suoi occhi non sono cresciuti, ancora ignoranti, incapaci del rigore scientifico (anche qui la scienza come un assoluto, pur essendo fatta dall'uomo!), superstiziosi e destinati a scomparire appena ci sarà l'illuminazione della ragione (altro elemento finito assolutizzato!). Confesso la mia pena e la mia rabbia per questa umanità cieca e ancora carica di illusioni precarie edulcorate con qualità divine.
Caro Federico mi è molto piaciuto il pezzo che ha inviato. Sul tema dell'ateismo i livelli di lettura sono diversi. Uno, storico-"religioso" espresso dal nichilismo buddhista, forse l'ateismo più onesto e intelligente: senza Dio l'uomo diagnostica la vita come sofferenza e senza speranze all'orizzonte, cercando soltanto di uscire dal ciclo delle rinascite. Se passiamo a livello sociale ogni assolutizzazione del particolare rivela forme idolatriche che riecheggiano l'arcaico originario "sarete come Dio": si rivestono di panni divini elementi fugaci, terrestri, limitati, che sono di volta in volta l'ideologia dominante, il benessere, la corporeità, il successo, il denaro, il sesso e il piacere, ecc. Sul piano filosofico l'ateismo ha avuto diversi esponenti (Feuerbach e Marx, Freud e Stirner ne sono solo un esempio), che di volta in volta sono stati assunti dalla gente, in modo banalizzato, come tutors e "guardie del corpo" delle proprie superficiali opinioni. Poi c'è un livello certamente filosofico, ma che fa tesoro anche della storia e della fenomenologia delle religioni, della filosofia della scienza e della fenomenologia filosofica ed ermeneutica e che convergono sulla sua tesi: di fatto parlare di ateismo è fuori luogo. Perché? In fondo, la radice dell'uomo e che lo ha caratterizzato come tale è l'aver preso le distanze dalla natura e dalle sue risposte. La nascita della cultura, della storia, delle civiltà sorge precisamente da questo, dall'aver osservato la pur temuta e divinizzata natura, come insufficiente per sé, estranea alle proprie richieste umane, ai propri progetti. Aver riconosciuto che essa è manchevole presuppone che nell'uomo, mediante uno strumento che di volta in volta (chiamato in causa scioccamente come una sorta di deus ex machina) è stato indicato come ragione, pensiero, intelligenza, stadio evolutivo, ecc., presuppone, dicevo, una pur oscura ma presente idea di pienezza, altrimenti l'insufficienza, l'assenza, la mancanza non sarebbero riconosciute e intercettate. Questa pienezza che la Genesi indica come il soffio di YHWH, che Agostino coglie come illuminazione, l'orma celeste di Dio nell'interiorità dell'uomo, che Rosmini presenta come l'idea dell'essere, innata e antecedente ogni ente e che personalmente presento come "possibile infinito", di sicuro non provengono dalla natura. Anzi proprio la distanza tra l'infinità della domanda dell'uomo e la finitezza inconsistente delle risposte naturali genera la libertà, tanto più estesa e ampia quanto più questa distanza è irrisolvibile umanamente. In effetti, nella natura domina la necessità in quanto come due vasi comunicanti, c'è equilibrio tra domanda e risposta e ogni animale e pianta ha ciò che cerca e che lo fa essere, senza dover ulteriormente cercare di essere. E dunque? Dunque, la domanda che ci fa uomini e che racchiude quell'esigenza umana e quella volontà e tensione alla verità e al meglio, è TRASCENDENTE, cioè inscritta nell'uomo non dalla natura (ecco perché siamo costretti a costruire la storia e le civiltà!) ma da una presenza che è oltre e va oltre pur essendo in ognuno di noi. Sete d'infinito? di bellezza e verità? di benessere e pace? di felicità e appagamento? di serenità e gioia? di gratificazione e compiutezza? La si chiami come si vuole, noi cerchiamo perché non abbiamo, ma per cercare abbiamo colto l'assenza di queste cose, anche se nessuno le ha mai sperimentate, se non in attimi, abbaglianti e rivelativi, vere e proprie spie celesti di un qualcosa che in noi ci trascende e ci obbliga a intervenire sulla natura con la speranza di fare meglio ogni volta (il tanto decantato progresso). Da questo punto di vista l'ateismo non esiste perché il problema non è mai l'inizio, come erroneamente pensiamo. Alle sue spalle c'è una relazione: aver colto l'insufficienza di ciò che siamo, di ciò che facciamo, di ciò che ci circonda. L'ateo non fa che impiegare il suo capitale spirituale nell'assolutizzazione della realtà, come se essa, nella sua finitudine e precarietà, una volta resa assoluta, perdesse questa sua identità destinata a morire e a non lasciar traccia. Non è intellettualmente corretto assolutizzare il relativo e se nego Dio, immediatamente e automaticamente sto, in modo contraddittorio, assolutizzando la realtà, la storia, l'uomo, la natura. Cioè tutte realtà condannate a morte e proprio per questo non assolute. E' un capitale spirituale investito male, che, al fondo, anche delle persone che si presentano democratiche e tolleranti, manifesta la pretesa che tutto è compreso e giudicato e non vale la pena neanche del beneficio del dubbio. A Dio, l'ateo sostituisce se stesso, con le medesime prerogative di aver capito tutto, di poter giudicare su tutto, di sdegnare con supponenza (fatta salva l'ipocrita dichiarazione pubblica di rispetto) tutti coloro che credono, adolescenti che ai suoi occhi non sono cresciuti, ancora ignoranti, incapaci del rigore scientifico (anche qui la scienza come un assoluto, pur essendo fatta dall'uomo!), superstiziosi e destinati a scomparire appena ci sarà l'illuminazione della ragione (altro elemento finito assolutizzato!). Confesso la mia pena e la mia rabbia per questa umanità cieca e ancora carica di illusioni precarie edulcorate con qualità divine.