Gentile Professore,
anzitutto, grazie per tutto. Gusteremo a lungo i frutti preziosi che ci ha permesso di cogliere nell'ultimo incontro!
Volevo comunicarle che ho scoperto un Autore che mi sta realmente appassionando: Henri Bergson, del quale le accennavo ieri. Ho iniziato a leggere "La Filosofia dell'Intuizione" e ne sono rimasto affascinato.
Ieri accennavamo con lei delle due impostazioni molto differenti con cui si può fare filosofia: una rivolta alla rappresentazione o modellizzazione del reale, analitica e razionalista, l'altra che segue un approccio filosofico di tipo "empirista".
Bergson afferma che entrambe sono destinate a fallire perché una pretende di fissare la realtà in una rappresentazione di stati distinti e diversi e ignorando che tra gli interstizi di tali stati ne sono presenti infiniti altri (in quanto la realtà è un continuum indivisibile), mentre l'altra impostazione finisce per esaurirsi nello scetticismo, in quanto si è alla fine costretti a riconoscere che la parzialità con cui le cose si presentano a chi le osserva non può mai giungere alla loro essenza profonda.
Bergson non nega che entrambi questi approcci abbiano un loro ruolo nello sforzo di fare filosofia, ma avverte che essi non devono avere la pretesa di restituirci la realtà, ma, al più, una sua rappresentazione simbolica. In sostanza, il filosofo può intuire, ma mai avere la pretesa di comunicare ciò a cui la sua intuizione lo fa giungere conoscitivamente e senza mediazioni di sorta.
Mi sembra di capire che il suo approccio abbia la stessa impostazione indicata da Bergson come l'unica possibile nel fare metafisica, e cioè quella che, a costo di opporsi alla tendenza naturale della ragione umana di procedere in modo analitico, deve imporsi di non lasciar dissolvere l'intuizione che guida il filosofo nel suo sforzo di cogliere metafisicamente la realtà.
È davvero così? Cosa pensa lei del pensiero di H. Bergson?
Grazie.
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Grazie, Professore.
Nonostante stia apprezzando il testo di Bergson, anche io mi stavo interrogando su quale sbocco avrebbe potuto avere il suo pensiero.
La sua risposta mi ha aiutato a definire meglio questi miei dubbi.
Grazie per quanto ha scritto.
Bergson è un pensatore da ammirare, capace di integrare in modo intelligente l'elemento scientifico e quello filosofico, così come materia e spirito. Questi, però sono "matrimoni misti" con una base fragile, perché una filosofia dell'intuizione, che recuperi lo slancio vitale della vita, colto in modo ineffabile dal filosofo e, in quanto ineffabile, non comunicabile, condanna la filosofia più al silenzio che alla parola. Non che il silenzio sia un approdo negativo, anzi, ce ne sarebbe sempre più bisogno, ma quando è un silenzio di ricchezza, non di impotenza alla mediazione. E il rifugiarsi nella psicologia, ibrida la filosofia di elementi estranei alla sua identità. La filosofia può essere utile alla psicologia, ma questa non può esserlo per la filosofia, essendo questa non spiegazione, ma indicazione del fondamento, che coinvolge, dunque, la psicologia stessa. I meccanismi della mente, personalmente non mi interessano, né mi coinvolgono i processi della memoria o dell'evoluzione che si ripete momento dopo momento con la sua capacità creatrice. Bergson abbandona di rado il livello chiarificatore della spiegazione e soltanto talvolta indica nel senso metafisico fondante il riferimento, l'unico vero oggetto degno del pensare. Queste mie brevi riflessioni critiche nulla vogliono togliere al pensatore e all'uomo, persona onesta e integra, acuta e originale. La mia valutazione è semplicemente un breve inventario del suo sistema, che, alla fine, può chiarirmi più cose. può farmi interessare a più fenomeni, ma senza che il senso della mia vita sia stato minimamente sfiorato.