La differenza fa paura ad ogni cultura dominante. Ad ogni logica di mercato. Se non c’è omologazione non c’è controllo, o, se si vuole, il controllo è più problematico. Meglio uniformare e globalizzare, così da avere un pensiero dominante e qualche eccezione minoritaria, facile da controllare e democraticamente da rispettare (solo formalmente, spesso in modo ipocrita o soltanto superficiale) o, se irriducibile, addirittura, da combattere con terrorismo culturale e giuridico.
Il fortunato aggettivo di liquido, con il quale Bauman ha identificato il postmoderno, altro non è che il trionfo dell’effimero, del transeunte, del cambiamento crescente e vorticoso a cui siamo tutti sottoposti. La fluidità delle comunicazioni via rete, il costante progresso tecnologico che sembra affrancarci da vecchie schiavitù (creandone, tuttavia, di nuove, seppure non ancora ben focalizzate), il relativismo che detta legge, dove trionfa la precarietà elevata a modello: precarietà sociale, precarietà politica, precarietà economica, precarietà morale, precarietà sessuale, precarietà valoriale, precarietà religiosa, è impressionante, nel senso che lascia una impressione indelebile, di illusoria onnipotenza individuale soprattutto. Una società liquida, qualunque sia la sua identità, scorre e muta ed è accomunata ad altre società che vedono ugualmente la loro specificità culturale trasformarsi costantemente.
È un caos, ma solo temporaneo, giacché tutto va poi a confluire nella grande foce a delta che riunifica e omogeneizza risultati, valori, beni di consumo, e l’ampio ventaglio di comportamenti nel quotidiano. tutto viene banalmente omologato e banalizzato per avere o cercare di avere il consenso più ampio. La tradizione di ciascuna società e cultura, la propria identità viene relegata in angoli sempre più folkloristici o pittoreschi, da utilizzare per turismo o per rivendicare, in un ring ben definito e controllato, ciò che si è culturalmente.
La società postmoderna sembra invincibile, inattaccabile, per sua stessa essenza, mancando di essenza e risultando essere un fiume vorticoso che tutto prende, tutto trascina, tutto invade. Quale riferimento stabile dare? E chi può avere tanta autorevolezza per farlo? Come ripristinare, se pure lo si volesse, un grande valore di principio, un senso fondante, un chiaro e immutabile faro di orientamento? Sarebbe riassorbito anch’esso, come tanti riformisti e rivoluzionari, come tante novità più o meno border line, tutte riacquistate alla causa comune dell’omogeneo, condiviso e oggetto diffuso di consumo, pretesto di dibattiti, potenziale di mercificazione e di sfruttamento, serbatoio per una invasività iconica, finta rivoluzione per nuovi conformismi.