Questa serie di critiche che Maria La Rosa ci ha riportato e per questo la ringraziamo, sono quelle tipiche critiche così facili da fare e che fanno parte di quella serie di problemi che possono essere tanto banalmente messi in discussione quanto invece richiedono impegno nell’affrontarli e risolverli. Sono domande polemiche che rispondono al cosiddetto “rasoio di Ockam”, la scelta, cioè, più semplice e funzionale che, tuttavia, in casi come questi, diventa la via anche più superficiale. Ma le risposte devono impegnare chi le scrive e chi le legge. Vediamo:
1.- nelle affermazioni relativistiche riportate, c’è confusione tra il concetto di generalità e il concetto di universalità: il primo è estensione quantitativa; il secondo è valore qualitativo. Il teorema di Pitagora resta universale anche se nelle varie culture può essere ignorato, utilizzato o utilizzato in modo sbagliato. Tutto questo, nulla toglie all’universalità del teorema.
2.- Se prendessimo in considerazione che “chi me lo dice che un’affermazione possa essere vera o falsa", debba essere applicata sino in fondo, allora anche questa affermazione, cioè il giudizio relativistico espresso dal “chi me lo dice”, cadrebbe anch’esso sotto la medesima scure relativistica: chi me lo dice che questo atteggiamento (del “chi me lo dice”) sia giusto? È anch’esso un prodotto della cultura e come tale condannato alla mutevolezza, alla reversibilità e alla scomparsa. E come prodotto della cultura, anch’esso non può pretendere di essere vero.
3.- L’atteggiamento relativistico espresso dal “chi me lo dice” non coinvolge solo la morale, ma ogni aspetto. Per esempio quello del diritto, delle leggi, così evidentemente diverse le une dalle altre e, apparentemente, conferma della visione relativistica. Eppure, persino le leggi, che pure cambiano da cultura a cultura, hanno bisogno di punti di riferimento assoluti (cfr. il giusnaturalismo, cioè il diritto naturale).
Se così non fosse, chi me lo dice che i gulag sovietici fossero infamanti e disumani? Chi me lo dice che lo sterminio nazista di ebrei e altri uomini invisi al regime sia stato un errore? Chi me lo dice che l’eliminazione culturale di milioni di cinesi ad opera di Mao e della sua, appunto, rivoluzione culturale, non sia stata una giusta selezione intellettuale?
4.- E se ci spostiamo in altri campi, chi me lo dice che “Il giudizio universale” di Michelangelo sia più bello dello scarabocchio di mio nipote di 5 anni? Che un motivetto fischiettato sotto la doccia sia da meno di una fuga di Bach?
5.- Affermare che “non esiste la verità”, come già Agostino aveva chiarito ai vecchi scettici di una volta, ha senso come negazione, soltanto se essa si presume VERA. Altrimenti nega soltanto se stessa. Posso, inizialmente, anche ignorare come “riempire” la verità, perché lo si può fare con sciocchezze o cose serie, con prodotti razionali o per rivelazione divina, ma non posso fare a meno di essa, perché anche per negarla, la confermo. E così in questo caso: se tutto viene relativizzato, dovrebbe essere relativizzato anche questo atteggiamento. Ma se venisse coerentemente relativizzato, ecco che l’oggettivo e universale riemergono.
6.- Dietro l’etichetta della cosiddetta “morale soggettiva” (ognuno ha la sua morale) non c’è altro che l’immoralità, la cui definizione, infatti, è autogiustificare “moralmente” ciò che si decide di fare. E se vale per le diverse culture, chi me lo dice che non possa valere anche per ogni singolo uomo?
7.- Persino ammettendo il “chi me lo dice” si noterà che in ogni caso si vuole assolutizzare la serie di norme e regole come fossero oggettive e universali anche se si presume di sapere che non lo siano. Cosa significa questo? Evidentemente che non si può davvero vivere in un mondo di pseudovalori, cioè di “valori” soggettivi e relativistici, tanto che il potere li impone esplicitamente (dittature, a vario titolo) o implicitamente (le cosiddette democrazie).
8.- La morale, che è sempre e solo oggettiva e universale, si fonda su pochi essenziali principi (che siano derivati dalla natura dell’uomo, dalla sua ragione o dalla Rivelazione di Dio) per i quali abbiamo il dovere di cercare e trovare la fonte di questa universalità e oggettività: a) valore morale oggettivo e universale della vita; b) valore morale oggettivo e universale della libertà; c) valore morale oggettivo e universale della centralità della persona, di ogni persona.
Questi riferimenti sono imprescindibili, inalienabili, non negoziabili e sono la base minima per poter costruire anche un abbozzo di diritto positivo (le leggi umane).
9.- Non si può confondere il piano storico, variabile e relativo, con quello assoluto, oggettivo e universale che va invece presupposto: ognuno parla certamente la sua lingua e nessuno potrà dire che la propria sia migliore delle altre, ma il parlare, la capacità del linguaggio simbolico nell’uomo è oggettivo e universale indipendentemente dalle variabili storiche. Né un sordomuto può mettere in discussione questa universalità.
10.- Questo atteggiamento relativistico del “chi me lo dice” è solo apparente espressione di libertà, in quanto se a dettar norme giuridiche e regole morali è la cultura di ogni paese e di ogni momento storico, il potere, che sia quello politico, quello economico, quello dei social media o dell’interesse di particolari lobby può facilmente indirizzare le coscienze della gente, orientarne le idee, convogliarle a nuovi “chi me lo dice”, attraverso mode, propaganda aperta o occulta, influencers ben retribuiti, quando non addirittura con l’uso esplicito della forza. La morale è invece legge per tutti e sempre e chi non la rispetta può e deve essere giudicato, anche se è un potente. Questa è libertà.
11. Un’ultima considerazione. Se su ogni realtà umana cade il principio relativistico del “chi me lo dice” (pensate a un figlio nei confronti del genitore, cosa che già avviene), la vita NON ha più senso, giacché “chi me lo dice” che ce l’abbia? È proprio questo relativismo dalla libertà fittizia, la faccia più diffusa e acriticamente accettata del nichilismo odierno.
Grazie professore