Una mia cara amica ed ex alunna mi ha scritto: "in uno degli articoli, quando hai parlato di animalisti (contro gli) io (che amo gli animali) l’ho interpretato nel senso che rischia di essere uno schermo rispetto alla fede o una falsa via, non nel senso che non si devono amare gli animali. O ho interpretato con la lente animalista?
E però San Francesco? Non ha indicato l’amore per la natura come strada per la fede? Almeno io la vedo come uno dei modi per amare. Se si ama la natura e chi la abita si sa amare chiunque
O no?". FEDERICA
Cara Federica, né le creature animali, né la natura possono essere demonizzate. Il problema è un altro. Se radico in Dio natura, animali e tutto il resto, assegno a queste realtà un valore enorme, che proviene loro dal Creatore e che mi autorizza, certo, ad amare la natura o gli animali, come Francesco d'Assisi, capace, per questo, di chiamare la morte come "sorella"! il problema sorge quando natura e animali si sostituiscono a Dio. L'indizio è quel "madre natura" che ha personificato un'entità complessa e varia, come fosse essa stessa a creare e gestire gli eventi. Non ci si chiede più come possa essere ordinata e armonica una realtà fatta di elementi privi d'intelligenza come piante e animali, ma li si divinizza acriticamente. E questo non è più un riferimento a Francesco d'Assisi, ma ad una orizzontalità che ha esautorato Dio e pretende di essere autoreferente e autosufficiente. E in quanto tale è espressione atea. Spero, nella estrema sintesi della risposta, di essere stato chiaro.
Avevo promesso in via personale che avrei cercato una ulteriore chiarificazione del problema riguardante la natura. Ho scelto un breve stralcio dal libro sul consistenzialismo che sto ultimando e che, forse, può far luce ulteriore sull'argomento.
Il divenire che è la vita, non ha in se stesso il fondamento, ché altrimenti, divenendo anch’esso, fondamento non sarebbe. La dimensione altra (altra dal divenire) è il fondamento della vita come divenire. Il divenire condanna alla precarietà che è (in quanto diviene appunto) ogni suo elemento. Se ci si illude di trovare in esso un qualunque senso, sarà proprio il divenire a cancellarlo, nel suo dive-niente. È una riflessione che investe, fra l’altro, ogni forma vecchia e riattualizzata di storicismo.
Ogni ricerca di fondamento del divenire della vita è oltre e altro da quel divenire ed obbliga a considerazioni metafisiche sulle quali poi, se si vuole, si potrà anche dare il proprio diniego, ma che, come riflessione, non può essere elusa.
Ma questo problema, che investe e coinvolge una riflessione sull’intera vita umana, non è preoccupazione animale, né ieri, né oggi, né domani. Anzi, da un punto di vista naturale, animale, sarebbe una inutile complicazione. Per questo ci sono nostri simili che dimenticando la loro identità di uomini, si sbarazzano del problema centrale che li fa uomini, definendo queste domande come astruse, inutili appunto, che non possono e non devono far perdere tempo. Sono nostri simili, è vero, ma solo sul piano delle cause, essendo generati da umani. Sul piano semantico, sono e vogliono essere solo animali. Il loro modello è vivere, vivere per vivere, cercando e trovando nella vita le ragioni della vita. Come ogni organismo vivente, animale o pianta che sia. La vita per la vita può essere definita in modo più chiaro come sopravvivenza. E, da questo punto di vista, tra un verme e l’uomo, non passa alcuna differenza.
La differenza impegna, responsabilizza, mette in crisi, perché supera ogni autoreferenzialità. L’identità è animale, la differenza è umana. E lo è non per mero accadimento, ma per scelta consapevole, perché come uomo, in quanto libero, posso persino contraddire alla libertà ed abdicare da essa scegliendo l’identità, ciò che la natura persegue con le sue leggi necessarie. Tutti gli uomini dormono, mangiano, invecchiano, ecc, secondo le leggi naturali, ma ogni uomo pensa “a modo suo” per la presenza della non-naturale libertà.
E se fossimo figli della sola natura, perché la libertà? Perché questo inutile fardello di responsabilità e di possibilità anche di errore e male? Perché questa sterile complicazione della realtà e il travisamento stesso delle millenarie leggi naturali? Non avrebbe potuto, questa natura provvidente, dare anche a noi la risposta appagante e sicura dove tutti approdano senza litigi, controversie, discussioni o contrasti? Ha preferito tacere “obbligandoci” alla libertà, possibile soltanto perché in noi certe domande non sono in linea, né omogenee allo status naturalis, mostrandosi “naturalmente” irrisolvibili, estranee alla mera sopravvivenza.
Che splendida evoluzione!
La natura dovrebbe vergognarsi di aver elevato a tanto scempio un suo figlio prediletto!
Ma lo scempio è nato dall’ignoranza e dalla confusione di trattare l’uomo come animale, laddove egli non è tale. Ed è per questo che ha ammazzato, invaso, preso possesso, guardato solo al proprio tornaconto ed interesse, per questo le lotte di territorio (da noi chiamate guerre), per questo gli stupri (inesistenti in natura per cadenze naturali), per questo “la legge del più forte” a tutti i livelli. E così l’efficienza, l’utilitarismo, la funzionalità…tutti valori animali. Se un elefante ha diritto di mangiare e, spostandosi, di devastare un territorio, perché l’animale uomo non dovrebbe farlo? Se un clan di scimpanzè ha bisogno di un altro territorio ed incontra un altro clan di simili e pretende come fosse suo naturale diritto di accaparrarsi quella terra, arrivando ad azzannarsi, dilaniarsi (nel vero senso della parola), annientando l’altro gruppo, perché l’animale uomo, così vicino allo scimpanzè (non è un suo antenato?) non dovrebbe farlo? Se una formica rossa incappa in una onda nera di formiche nere e viene uccisa e fatta a pezzi, questa sorta di razzismo animale perché non dovrebbe competere anche all’animale uomo? Se i deboli o i piccoli diventano facili prede di animali più forti, perché l’animale uomo non dovrebbe comportarsi nella stessa maniera? Se un organismo naturale si fa parassita di un altro organismo, quale è il motivo per cui l’organismo animale uomo non dovrebbe poter diventare un parassita del pianeta stesso?
Non ci si salva affermando che l’uomo ha quel pensiero che lo dovrebbe portare ad un comportamento più responsabile e differente. Perché s’introduce come dato di fatto ciò che è problema: se questo pensiero deve rettificare un comportamento animale altrimenti permesso dalle leggi naturali, da dove scaturisce questo pensiero? Da dove emerge quella libertà che dovrebbe renderci più responsabili e capaci di staccarci dai meccanismi necessari della natura?
Evidentemente pensiero e libertà non hanno un fondamento naturale. Solo in questo caso possono creare un’alternativa alle necessità imposte dalle leggi naturali. La loro scaturigine è sorretta anche funzionalmente (se si vuole) dal dislivello che sussiste tra l’insieme delle domande, richieste, necessità e bisogni umani e risposte assenti o insufficienti che la natura propone. Dobbiamo sopperire a questo deficit di natura e possiamo farlo solo attingendo da qualcosa che, non appartenendo alla natura, è in grado di assolvere alle mancanze della natura, essendo invece con-forme alla diversa natura di queste domande. Si tratta infatti di domande che eccedono la natura: la risposta o il tentativo di rispondere non può che appartenere a strumenti (pensiero e libertà) che eccedono la natura. E quando si dice “eccedono” non s’intende un di più quantitativo, colmabile o futuribilmente risolvibile, ma un vero e proprio gap qualitativo fra la natura, perfettamente insensibile al proprio essere quello che è, che inesorabile procede conservandosi in ogni modo, e quello che avrebbe dovuto essere il suo figlio prediletto, maggiormente evoluto, la sua più alta generazione, smarrito e goffo in questo soffocante habitat naturale, che vogliamo e non vogliamo, che siamo e non siamo, che vorremmo e non vorremmo, che desideriamo e rinneghiamo, che proteggiamo e devastiamo, che ammiriamo e temiamo, che amiamo e combattiamo.
Riflettevo…
lo stesso discorso può essere fatto per l’eccesso di egocentrismo degli uomini e allora è ancor più pericoloso. La prepotenza dell’‘essere umano, il suo sentirsi capo (e quindi Dio) di ogni forma di vita, non è ancora più distante dalla spiritualità? in fondo chi si sa avvicinare alle forme si vita diverse dall’uomo compie un atto di umiltà e si riconoscimento del valore della vita (tutta non degli umani)
Grazie!