Il nostro segno distintivo, come cristiani è il Crocifisso: al petto, su un muro di casa o di un’aula scolastica o di una stanza istituzionale, la Croce indica l’essenza storica di chi crede in Gesù di Nazareth. La nostra fede è per Gesù risorto, giacché «se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini» (1Gal 14-19). Ma la storia, la visibilità sperimentata da ogni uomo, ieri, oggi e domani è la Crocifissione, cioè: la storia ha espulso Gesù, lo ha voluto annientare, lo ha eliminato. Il “mattatoio della storia”, come lo definiva Hegel, ha dichiarato il fallimento di Gesù sul piano della orizzontalità storica. Senza la fede nel Gesù risorto, ha ragione san Paolo, saremmo “da compiangere più di tutti gli uomini”, perché nella storia, la storia ha “bocciato” Gesù e la Sua Buona Novella.
Ora, come possiamo oggi da cristiani cercare a tutti i costi d’integrarci in questa cultura, in un questo pensiero oggi dominante, nelle logiche “democratiche” e nei “diritti” che si moltiplicano senza alcun fondamento se non quello soggettivistico e del privato interesse? Come non avvertire una sorta di distanza valoriale e di una sensibilità del tutto estranea? Come non sentirci stranieri ed esuli in questa realtà quando il nostro Gesù ci ha mostrato con la Sua crocifissione quanto sia lontano il modus operandi del cristiano davanti agli interessi del mondo? Se così hanno trattato il legno verde, cosa sarà di quello secco?