Caro prof,
le scrivo in merito all'intelligenza artificiale, tema di grande attualità.
Prendendo spunto dal suo libro fondamentale Ragione e intelligenza, le chiedo e mi chiedo se la parola Intelligenza sia appropriata riguardo ciò che è artificiale.
Secondo me infatti sarebbe molto più consona la locuzione ragione artificiale. In effetti mi sembra che solo lo spirito umano abbia la capacità dell'Intus, come vuole l'etimologia del termine Intelligenza. L'operato artificiale mi sembra essere proprio quello della ragione come Lei specifica bene nel suo libro.
Cosa ne pensa?
Grazie sempre
Mario Balzano
Devo dire che anche nel mondo cattolico si è alimentato, purtroppo, l'equivoco. Aver mantenuto senza correzioni il problema dei rapporti tra "ragione e fede", tematica trita e quasi obsoleta, senza aver arricchito la relazione del contributo dell'intelligenza, è stato un grave errore d'inadempienza. Se continuiamo a pensare che il vettore centripeto del sapere, cioè la ragione definitoria e quello centrifugo verticale della fede, possano incontrarsi, è un atto di fede, sia per la ragione che per la fede. L'intelligenza ha il coraggio di chiedere, di entrare dentro ("intus") la realtà, gli accadimenti, le paure e le speranze: non le basta né la definizione di tutto questo e la loro conoscenza, né affidarsi per risolvere il tutto. Una ragione intelligente si apre alla fede, se non altro per voler conoscere sino in fondo; una fede intelligente non può che illuminarsi con la ragione, perché la fede non deve contraddire quanto Dio ci ha provvisto per definire e sapere. E' solo l'intelligenza il "medium" che permette una relazione proficua tra ragione e fede. Una fede poco intelligente ha paura di ragionare e una ragione poco intelligente ha anch'essa paura, paura di esporsi oltre il proprio. Eppure il Cristianesimo ha ben distinto la sapienza dei dotti (ragione e sapere) dalla saggezza di chi usa l'intelligenza per comprendere anche necessariamente senza sapere.