ROBERTO ROSSI PHILOSOPHER
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Il Consistenzialismo
Il Consistenzialismo
Rossi parte dal presupposto che la storia non sia l’inizio, non sia l’avvio, ma già si presenta come una serie di risposte possibili ad una condizione di squilibrio che è alle sue spalle e che la giustifica. Non ci sarebbe l’indefinito ventaglio delle risposte storiche, individuali o generali, se alle spalle di queste non ci fosse l’interrogativo che le motiva e le orienta e l’interrogativo -che è sempre problema-, è squilibrio, non allineamento tra domanda e risposta, gap tra la/le domanda/e le risposte che ognuno cerca e non trova in sé. I vasi non comunicanti obbligano a riequilibrare o a tentare di riequilibrare i due livelli. E lo squilibrio genera disagio, insoddisfazione, inquietudine. Già soltanto per questo motivo, la storia non è evoluzione della necessità naturale, così come la libertà non è evoluzione rispetto alla necessità. Non c’è infatti continuità evolutiva, giacché la storia è negazione della ripetitività naturale e la libertà è, altrettanto, negazione della necessità, che della libertà è addirittura alternativa antipodica.
Qui sta la giustificazione del suo consistenzialismo. Si vuole intendere, con esso, una differente consistenza, non data più dalla presenza, visibile, toccabile, udibile, sperimentabile, ma da una presenza, altrettanto certa, che non c’è, ma sicuramente deve esserci. Per questo motivo, in modo paradossale, l’essenza dell’uomo è segnata dal rincorrere ciò di cui ha percepito l’assenza, piuttosto che restare soddisfatto e contento di quanto già ha e gli è presente. Tutta la storia, le civiltà, ma lo stesso cosiddetto progresso sono alimentati dall’aver scoperto la mancanza e dall’esserne così attratti, da mettere in secondo piano la presenza. E così gli ideali, la speranza, il possibile, l’avventura e l’esplorazione già nel bambino, la stessa libertà rivelano la consistenza dell’assenza, ben più solida e forte della consistenza di cui solitamente parliamo, cioè delle cose presenti. Non si tratta di semplice curiosità, qualità che può appartenere anche ad altri organismi. C’è una curiosità per ciò che c’è e questa la si può riscontrare anche in alcuni animali, ma c’è una curiosità per ciò che non c’è ancora, che si è colto come mancante e questa è una specificità esclusivamente umana.
A ben guardare, la stessa relazione umana si fonda sulla spinta ad unirsi a chi, magari ancora sconosciuto e assente, orienta tuttavia comportamenti, ricerca, tensione.
Così, nel pensiero consistenzialista di Rossi, la prima figura della trascendenza è precisamente quel possibile consistente, perché rivela una presenza mancante e mostra, appunto, ancora una volta, la consistenza di quella mancanza in modo ancor più deciso delle tante presenze illusoriamente appaganti. La presenza mancante è già nel possibile che è allusiva della pienezza che è da concepire come compimento, equilibrio, appagamento (popolarmente è la felicità, il benessere, la perfezione, l’optimum) e il possibile come pienezza, nella sua vastità indefinibile, è l’infinito, da cui l’indefinito della libertà umana è generato. Il possibile è già metter-in-discussione ciò che c’è, è compararlo a quello che, pur assente, si paventa migliore e si ritiene così trainante da spingere ad abbandonare il possesso del reale che abbiamo per avventurarci verso ciò che non esiste ancora.
«Rossi condivide la necessità di superare il paradigma moderno dell’autonomia del soggetto […] e propone all’inizio del XXI secolo una radicalizzazione-superamento dell’hegelismo pari a quella gentiliana un secolo prima e la sua opera monumentale qui proposta [leggi Lineamenti per una filosofia dell’intersoggettività] non fa affatto più sconti al lettore rispetto a qualche scritto di Giovanni Gentile»[1]
Con queste parole Markus Krienke della Facoltà Teologica di Lugano colloca il pensiero di Roberto Rossi nella tradizione post-hegeliana e all’interno della tematica dell’intersoggettività. È un tema che richiama le radici platoniche, agostiniane e poi rosminiane dalle quali prende avvio la riflessione di Roberto Rossi
«secondo la quale la storia umana scaturisce dalla “fondazione metafisica dell’uomo, dal suo esser segnato dall’infinito», dato che il problematizzare proprio dell’intelligenza genera sì una “indefinita serie quantitativa” di risposte, che costituiscono il tessuto della storia stessa, ma non può generare o discoprire la risposta assoluta, che pur esige, ma la cui impossibilità pone in evidenza massima, con “l’insufficienza di ogni immanenza”, il corrispettivo fondamento della storia nella religione».
Uno dei primi lavori di Rossi, L’oggettività interiore. Lezioni postume da Michele Federico Sciacca, tributo di riconoscenza ad uno dei suoi Maestri, vincitore ex aequo del “I° Premio Internazionale M. F. Sciacca” viene riproposto nell’edizione del 2015 curata da Aracne, costituendo la originale base d’avvio del suo pensiero.
C’è una oggettività interiore che sfugge alla usuale dimostrazione come accade invece per quella esteriore, -ad esempio nelle leggi scientifiche con la dimostrazione sperimentale-, ma che è però altrettanto indiscutibile nel suo mostrarsi ineliminabile. Si tratta della rivisitazione e dello sviluppo del dualismo platonico e agostiniano, che presente anche nel pensiero di Rosmini, è stato reso contemporaneo dalla filosofia di Michele Federico Sciacca e che Rossi sviluppa oltre lo hegelismo, come indicato da Krienke.
E proprio le parole di Krienke possono chiarire il significato e la rilevanza del pensiero di Roberto Rossi in un contesto di post-modernismo:
«la nostra cultura tardo e post-moderna.- così si lascerebbero anche concretizzare le considerazioni di Rossi- non ha ancora realizzato le potenzialità della metafisica moderna, ossia di considerare l’inter-soggettività il vero fondamento delle istituzioni moderne di libertà».
Rossi ha rivisitato alcuni nodi problematici della storia della filosofia occidentale, ancorando metafisicamente ogni ricerca storica intesa come risposta e non come causa o origine delle idee o dei valori, perché già il porre domande è indicazione di apertura metafisica.
L’uomo è un angelo mancato, ma è anche un animale mancato. Ciò che definisce l’uomo, è ciò che è assente in lui. A definirlo non è ciò che c’è, ma ciò che manca, giacché l’uomo deve arrivare ad essere: l’uomo fa storia per questo, secondo dopo secondo. Non è compiuto come lo è un verme, né come lo è un angelo. Sul piano naturale egli è meno di un verme: la natura lo ha lasciato privo di risposte che invece ha riversato in quell’invertebrato.
Su un altro piano di ricerca, la collaborazione con Giannantoni continua sulla proposta comune di una "compossibile" altra concezione della scienza e della sua metodologia, di cui è conseguenza il già citato, Dal multi-verso all'Uni-verso. La teoria della compossibilità vuole evitare ogni contrapposizione che la renderebbe parziale e dunque ideologica, non c'è dunque un aut-aut, ma un et-et, cioè un punto di vista di una scienza qualitativa, altrettanto possibile come quello quantitativa.