Zygmunt Bauman faceva riferimento alla morte e all’immortalità, indicando non senza acutezza, come la modernità abbia “decostruito” la morte, per preparare poi la postmodernità alla “decostruzione” dell’immortalità.
Nella modernità, -ma aggiungerei che è elemento costante anche nel nostro momento storico postmoderno-, a giudizio del sociologo polacco, non si muore. Nel senso che la morte sembra arrivare sempre con la responsabilità di qualcuno o di qualcosa. Dunque, non si muore perché si è sempre uccisi da qualcuno o qualcosa. Non si deve e non si vuole più riflettere sulla caducità umana, ma sulle responsabilità che avrebbero causato questo evento fatale, come se questo dipendesse da noi. Una malattia? Medici, ospedale, medicinali, cure, ecc. vanno sotto indagine. Un terremoto o un’esondazione? Politici, istituzioni locali, disboscamenti selvaggi, ecc. sono messi alla berlina, sino a diventare uno slogan. Cicloni, siccità, “bombe d’acqua”? Colpa della “stupidità” umana (mi riferisco all’intervento di Bergoglio, fatto l’11 settembre 2017, di ritorno dal suo viaggio in Colombia, dove ha definito «uno stupido, un testardo che non vede», colui chi non crede alla teoria dei cambiamenti climatici provocati dall'uomo), del cambiamento del clima dovuto ad un incremento di un’industrializzazione sempre meno ecologicamente schierata, ecc. e anche qui, processi, interventi pubblici, denunce, banali colpevolizzazioni.
Non molto tempo fa leggevo di un bambino (definito dalle cronache, “un po’ più vivace”) che è caduto in un ”buco” della solfatara, dopo aver scavalcato la recinzione di protezione. E' iniziata un'inchiesta sui sistemi di sicurezza, sulla “modesta” recinzione (eppure, non era mai successo niente, con 250.000 visitatori l’anno e migliaia di scolaresche, visto che c’erano cartelli di divieto e una steccionata unita da reti), sull’assenza di soccorritori, sui tempi di controllo del sito, sulle responsabilità locali, ecc. Insomma, non si muore mai e si sente più volte ripetere, in questi casi, che, con leggi appropriate, controlli effettuati, attenzione superiore, quella morte “si sarebbe potuto evitare”.
Così, la morte passa per una sorta di optional della vita, come se arrivasse quando qualcuno ha mancato o non ha fatto il suo dovere. Ad essa è stata tolta quell’ineluttabilità naturale che obbliga alla riflessione, che spinge (o dovrebbe spingere) all’inventario della propria vita, alla ricerca del suo fondamento.
In più, la morte è espulsa dall’orizzonte dell’uomo perché c’è questa o quella morte singola, dove l'attenzione dei media e, di conseguenza, dell’opinione pubblica, viene spinta a concentrarsi non sulla morte in generale, ma sulle morti particolari, sulle singole cause di esse, sulle cause contingenti, e, come tali, evitabili e razionalmente aggredibili preventivamente.
Di conseguenza, con il passo successivo, la postmodernità considera l’immortalità già in nuce nel futuro, essa stessa come futuro, identificata con il futuro, esaurendosi essa in esso: questo perché l’interruzione del ciclo vitale è sempre sotto responsabilità di qualcuno o di qualcosa, per cui, l’oggi diventa liquido, confuso con il domani e questo, altrettanto liquidamente, confuso con l’oggi. La morte è normalizzata o conseguenza della colpa di qualcuno.