Salve Professore, spero tutto bene. Le volevo sottoporre una questione in cui ultimamente mi capita di imbattermi con frequenza. Da parte di qualche fratello (e mi sembra anche da certi ambienti della Chiesa universale) c'è l'idea di far ricadere ciò che nella Bibbia è sinonimo di peccato o di divieto, come un'errore della "mano umana" e quindi una comprensione sbagliata da parte dell'uomo della volontà di Dio. Spesso ciò si evince nella questione della omosessualità come peccato nella Bibbia, e si tenta di dire che "ma cosa s'intende per davvero su Sodoma o su San Paolo quando si parla di omosessualità..." come se ci fossero interpretazioni che spiegano che non è peccato, oppure affermare che il divieto di atti omosessuali c'era solo perchè essi sono contrari alla funzione procreatrice dell'umanità e quindi era un divieto/peccato funzionale alla società dell'epoca...come se tutto si risolvesse all'interno dell'etnografia o di altre scienze sociali. Non so, mi sembra uno stravolgimento incomprensibile e estremamente preoccupante... Un saluto!
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Sullo "psicologismo" e dei suoi effetti devastanti sul concetto di peccato faccio solo un accenno.
La psicologia, anche come disciplina "moderna" (dico moderna perché esiste, da quando esiste il cristianesimo, anche una "psicologia cristiana" e, ancor prima, “una psicologia dei filosofi”, psicologie che però prendevano il nome di etica) ha senz'altro una sua utilità nel giusto tentativo di comprendere più profondamente l'animo umano.
Purtroppo, sia gli psicologi, sia i medici e, da qualche decennio a questa parte anche i preti, sembrano aver dimenticato che dietro ogni richiesta di salute si nasconde anche una ricerca di salvezza (cito dal libro di Martin Echavarria: “Da Aristotele a Freud”).
Succede allora che la medicina e la psicologia (ma la stessa cosa si potrebbe dire di quasi tutte le altre discipline e scienze umane), rimangano chiuse in sé stesse, private di quel necessario afflato al trascendente a cui il pensiero e l’agire umano tendono quasi “naturalmente” (credo che, a questo riguardo, abbiamo tutti nella mente e nel cuore le lezioni del Professor Rossi).
Se invece l’uomo è “non più, non meno di un animale”, come diceva Freud, solo uno sciocco può ancora credere in un Dio che – seppure esiste – e avendoci creati proprio con quegli impulsi che il nostro stesso corpo chiede ardentemente di appagare, vorrebbe poi contraddittoriamente privarci di quella felicità che Egli stesso ha impresso come un anelito nelle nostre membra!
A titolo di esempio di ciò che sta accadendo nella Chiesa, ti riporto ciò che mi è stato raccontato da un ragazzo che conosco molto bene e che provava attrazione per persone del suo stesso sesso. Dopo una confessione, avendo espresso i suoi dubbi e il suo tormento al Confessore, mi ha confidato che quest’ultimo gli aveva suggerito di provare a seguire i suoi desideri per accertarsi se egli fosse effettivamente omosessuale! Ora, grazie a Dio, so anche che questo ragazzo è completamente uscito da quella condizione (sebbene abbia forse seguito per un po’ di tempo il bel “consiglio” del Confessore). Ma capisci bene che, se avesse continuato a fare quello che gli era stato suggerito da un uomo di Chiesa, forse oggi si troverebbe nella schiera di quelli che si sentono perfettamente a posto davanti a Dio, pur vivendo una vita di peccato e di sofferenza e mettendo in grave pericolo la propria salvezza eterna.
Poco tempo fa abbiamo assistito con sgomento all’infelice uscita di Bergoglio su questo argomento: “Se un ragazzo ha questo tipo di problemi, bisogna ricorrere ad uno psichiatra”, come se la questione andasse esaminata sotto il profilo medico o psicologico, ma non sotto quello morale (certo, come ha anche detto il Professor Rossi, non una “morale eteronoma”, ma realmente “ragionata” e aderente alla fede).
Tutto questo si sta verificando prevalentemente negli ultimi decenni, perché prima la Chiesa aveva ben preso le distanze da queste fesserie. A titolo di esempio, Pio XII ha dipanato diverse volte, nel suo magistero, i rapporti tra antropologia-morale-fede, ma non mi sembra abbia avuto molto seguito.
Che fare, allora? Io credo che dobbiamo fare quello che suggerivi anche tu: rimanere attaccati alla Parola e al Magistero autentico della Chiesa. Ripeto: anche questo forum può essere un’ottima occasione per chiarirsi e confrontarsi, senza infingimenti né timori di sorta. Sì, è vero: la barca di Pietro sembra oggi essere preda di una pericolosa tempesta, ma crediamo sempre che Gesù è il nostro infallibile Timoniere e che “neppure un capello del nostro capo andrà perduto e con la nostra perseveranza salveremo le nostre anime”.
Un saluto caro a te, al nostro caro Prof e a tutti!
Ciao Davide, buongiorno a tutti.
Chiedo scusa per aver forse portato questo discorso al di là di quelle che erano le tue intenzioni, ma mi sembra che la questione da te sollevata, con tutte le perplessità da te manifestate e pienamente condivisibili, debbano scuotere la nostra coscienza di credenti e portarci ad agire e a cercare di arginare in tutti i modi possibili questa deriva che sta portando parte della Chiesa a una vera e propria apostasia.
Per quel che riguarda la questione del dialogo al quale accennavo nel post precedente, preferisco lasciarti alla lettura di alcune pagine di "Iota Unum" di Romano Amerio. Al di là del linguaggio un po' desueto, credo che difficilmente si possa dare migliore descrizione della questione.
A presto!
Grazie Professore per la sua risposta. Ha illuminato l'argomento cercando una risposta che stia a "monte" e non a "valle" e ha rispolverato e confermato in me alcune posizioni acquisite negli studi al Laterano. Grazie ancora. La cosa che mi indispone di ciò che leggo o sento a proposito di questi discorsi, è la forzatura nei confronti della Parola di Dio e della sua interpretazione (per non parlare della sua scrittura)...come si può essere così maldresti nel stornare ciò che è scritto, a favore delle proprie idee...per giunta sostenendo che "Ah ma MICA DIO LA PENSA COSI' COME STA SCRITTO...." oppure, a proposito posizioni chiare e scritte nero su bianco "Eh...dobbiamo interpretare meglio, comprendere, riflettere e cercare il vero senso di ciò che sta scritto...". E' vero che la comprensione della Bibbia non è mai data al 100%, però cose così le trovo meschine ed egoistiche, perchè è il tentativo di far dire a Dio ciò che io voglio dire o sentire.
Forse è solo lo sfogo del momento e sono inquieto, ma temo per il futuro, perchè posizioni simili minano le basi della lettura, dello studio e della comprensione della Scrittura...
Caro Davide.
la tua osservazione sul peccato di sodomia e la risposta, come sempre chiarissima del Professore, hanno provocato in me una serie di considerazioni e riflessioni che vorrei tentare di riportare in punti essenziali (ma che per brevità non intendo esaminare tutti in questo post).
Riguardo alla questione morale, non credo sia necessario aggiungere nulla a quanto già detto esaustivamente dal Professore. Vorrei invece affrontare la questione da un punto di vista più generale e cioè a quali errori dottrinali e lessicali (!) si debbano le affermazioni di alcuni Pastori (sarebbe più appropriato definirli "Mercenari") e che purtroppo hanno ruoli preminenti all'interno della Chiesa. Quelli che mi vengono ora alla mente sono tre, ma vorrei aprire un dialogo solo sul primo, per il momento:
La Chiesa si è piegata alla terminologia del "mondo" per ciò che riguarda più propriamente lo "spirito" o, più in generale, la metafisica e l’antropologia
Il cosiddetto "dialogo" con i non credenti, promosso con ogni mezzo dalla Chiesa, in particolare dal CVII in poi
Lo psicologismo, che ha fatto grande presa anche nella Chiesa, a partire dagli anni ’60 in poi
Per quanto riguarda il primo punto, avrai forse notato come, all'inizio di questo post, io non ho volutamente scritto "omosessualità", ma "peccato di sodomia". Difatti, come già ha evidenziato il Professore, i concetti di omosessualità e di alterità non hanno tanto rilevanza morale (addirittura nessuna!) quanto ontologica. "Omosessualità "e "eterosessualità", nell’accezione corrente, esprimono semplicemente due diversi “accidenti” dell’essere così come il diverso colore degli occhi, dei capelli, la diversa altezza e peso, eccetera. Sappiamo bene (anche per l’insistenza con cui viene riproposto questo tema, condito in tutte le salse) che la sessualità è accidente ben più sostanziale degli altri, ma la questione cambia di poco.
Se la Chiesa non avesse ceduto su questo fronte alle istanze di chi ha deliberatamente trasferito su quello dell’essere un concetto che riguarda invece il comportamento, probabilmente non ci troveremmo nel pantano della pseudo-pastoralità accogliente ed inclusiva ad ogni costo della Chiesa di oggi. Di fatto, la Chiesa non avrebbe dovuto neppure rispondere dell’accusa di intolleranza verso le persone omosessuali. Semmai avrebbe continuato ad essere accusata di eccessiva rigidità nelle questioni morali, ma su questo c’è sempre stata libertà di seguire o non seguire i Suoi insegnamenti, e dunque la questione non si sarebbe affatto posta sul piano dottrinale (il che sarebbe già un bel vantaggio), ma semmai su quello dell’attenzione verso le persone più fragili, cosa che peraltro la Chiesa ha sempre cercato di fare, perlomeno nelle indicazioni generali rivolte a Vescovi e Preti.
Dunque “sodomia” e, semmai, “omoerotismo” e non “omosessualità”: cerchiamo di riappropriarci, anzitutto, del vocabolario giusto e politicamente scorretto :). Soprattutto noi cattolici che ci sforziamo di comprendere, anche grazie al fondamentale insegnamento di professori come Roberto Rossi, cosa è giusto credere e perseguire in quanto credenti. Sì, lo so che non è facile usare termini che oggi sembrano non significare più nulla per la maggior parte delle persone, ma come studenti di filosofia non dobbiamo cedere! E cerchiamo sempre le occasioni, virtuali, come questo Forum, ma soprattutto le occasioni reali (perché no, anche tra di noi che facciamo parte di questo spazio virtuale) per ribadire – con dolcezza e fermezza – la Verità.
Gli altri due punti, per non appesantire troppo questo post, proverò a argomentarli più avanti.
Buona serata e grazie!
2 Tim 4,2-5
Caro Davide, ciò che abbiamo di fronte oggi è la paura che ha la Chiesa di non aggiornarsi, di non essere, come si dice, all’altezza dei nuovi tempi e delle nuove esigenze del popolo di Dio (per parafrasare uno dei tanti slogans di Bergoglio), quasi che fosse un’ideologia alla moda o un partito politico e così, pur di avere adesioni, minimizza la sua bimillenaria tradizione, dimentica i suoi Padri e Dottori, tradisce la dogmatica che per millenni ha illuminato credenti e non. Cosa è oggi la Chiesa? È ancora in grado di guidare le anime o si sta limitando a concorrere alle umane illusioni di costruire un Paradiso terrestre, senza ingiustizie, disoccupazione, guerre, epidemie e tutto il resto? È uno spettacolo penoso, che sta dividendo i cristiani, li sta confondendo: è riconoscibile la voce del pastore? Noi, pecore che vanno guidate da quel pastore, ne riconosciamo il richiamo?
Il tema dell’omosessualità come tutti i problemi connessi alla morale, non devono alimentarsi di divieti. Troppo facile. Imporre estrinsecamente, come peccato, un’azione o una scelta, è acritico e poco credibile e autorevole. Si fa un gran parlare dei rapporti tra ragione e fede: ebbene, sarà in grado la ragione di argomentare per avallare quanto la fede indica come valore al quale aderire con tutta se stessa! Il concetto-chiave è l’”alterità”. Più l’alterità ci assomiglia e meno è alterità. Stare con una persona che abbia la mia stessa genitalità, significa stare con un’alterità incompleta, anceps, dove a dominare, come criterio, è l’io: mi assomiglia ed è più facile che lo si accetti. Gesù non ha indicato nell’amore per il nemico una frase ad effetto: ha chiarito bene che se si ama chi ti ama non hai merito. In altre parole, la vera maturazione che supera la fase adolescenziale (cfr. persino il complesso di Edipo!) è accettare sino in fondo l’alterità, senza compromessi con il proprio ego. Non è l’ego il metro di misura. L’altro non va giudicato in base a quanto, più o meno mi assomigli. Se decido di amare un’altra persona, che questa persona sia davvero altra: come genitalità, come sessualità, e ontologicamente, appunto, come persona. Di fatto si dovrebbe parlare di omogenitalità, in quanto sul piano sessuale, i due o le due non avranno la medesima identità sessuale, ragionando e vivendo o come uomo o come donna. È la genitalità il punto-chiave, la non-differenza. Ed è proprio qui che esplode la contraddizione. Una cosa delicata, che proprio perché tale nessun prete ha osato dire (e invece avrebbe fatto meglio a chiarire, piuttosto che riempirci di divieti senza spiegazioni): nell’intimità della genitalità, due maschi non possono consumare come due maschi, e due femmine non possono consumare come due femmine. Uno/a dei due, scimmiotterà l’altra genitalità, la realizzerà come una brutta copia, perché dovrà imitare ciò che non gli/le appartiene per essenza naturale. E così, quella differenza che si vuole eliminare, torna prepotentemente alla luce come indispensabile perché il rapporto si consumi come omosessuale! Due maschi vedranno uno dei due fare la femmina e due femmine vedranno una delle due fare il maschio!
L’equivalenza caotica di genere del nostro tempo, -caotica perché ogni equivalenza, come ogni indifferenza e omogeneità è definizione del caos-, ha radici lontane, già nell’eterosessualità. Non siamo educati all’amore, perché il pregiudizio romantico che crede che l’amore sia tutto sentimento e irrazionalità, ha lasciato quanto di più importante all’arbitrio soggettivo, estemporaneo e velleitario. Sarebbe bastato ricordare che “cercare l’anima gemella” oppure “abbiamo molto in comune” sono sintomi di una omosessualità nell’eterosessualità. L’omosessuale accetta l’altra persona, un’altra sessualità (uomo o donna), ma la stessa genitalità; un eterosessuale che cerca cioè che è analogo, simile o identico nell’altra persona, con altra sessualità e altra genitalità, su un versante diverso da quello dell’omosessuale canonico, non supera la differenza e cerca il proprio io nell’altro. Ama se stesso nell’altro, in una relazione fittizia che è fondata esclusivamente sull’autoreferenzialità. Non essendo l’altro il fine, ma la somiglianza a sé, come posso escludere di trovare in altro luogo e tempo qualcuno che mi sia più affine? Una cultura che si è costruita sull’io e le sue proiezioni, non può che essere omos.
Ho cercato di evidenziare le contraddizioni dell’omosessualità, senza ricorrere all’idea del peccato e senza calare estrinsecamente divieti. Un comportamento moralmente cristiano non è disumano, né disincarnato, ma pienamente umano e, di conseguenza, una riflessione attenta e intelligente, che ogni persona può fare, è del tutto capace di sostituirsi all’idea del peccato che ci è stata spesso trasmessa senza mai che ci fosse stata data una spiegazione plausibile.