ABORTO : molte donne abortiste dicono: “la gravidanza è mia” e di conseguenza questa convinzione di base giustifica direttamente o indirettamente una possibile sua interruzione. Una vita diventa proprietà privata, solo perché è “dentro” uno spazio che è il proprio, così come negli USA dove si è autorizzati ad uccidere chiunque entri da estraneo in una proprietà privata: diventa proprio possesso anche quell’intruso. Evidentemente nella dichiarazione “la gravidanza è mia” si rivendica un potere su un qualcosa che è concepito in modo estraneo ad ogni relazionalità, affettiva, interpersonale e sociale. Un evento che chiude il suo significato nel solo soggetto. Forse il mondo femminile dovrebbe allargare il concetto che ha di violenza: tanto è sensibile, giustamente, su quanto le viene procurato, quanto dovrebbe altrettanto curare di evitare violenze ancor più gravi quando è chiamata a decidere su un altro.
ANTONACCI BIAGIO: non avrei mai sprecato una parola su questa persona che mi dicono cantante, se non fossi incappato nelle sue dichiarazioni fatte al “Corriere della sera” dove ha espresso mirabilmente la grandezza dell’esser cattolici. Quando gli è stato chiesto dal giornalista che rapporto abbia con i sensi di colpa, ha infatti risposto: “Un dramma. L’educazione cattolica ha rovinato la genuinità dell’essere umano, abbiamo abbandonato l’istinto”. “Il senso di colpa non ti fa mai sentire libero, stai sempre a chiederti: mi merito questa libertà? Bisogna essere liberi, tornare nella foresta, camminare per cercare cibo, amore, cercare la verità. Il senso di colpa ti toglie tutto questo”, ha poi aggiunto. C’è da essere orgogliosi della propria cattolicità, visto che, a dire di Antonacci, in pratica, ci ha tolto dallo stadio animale. Antonacci vorrebbe che in noi dominasse l’istinto, cioè una spinta biologica che è al di là del bene e del male. Dunque, per fare un esempio, non ci sarebbero più stupri, ma semplici accoppiamenti istintivi, imposti secondo la legge animale del più forte, cioè il maschio. La sciocchezza di queste affermazioni che un giornale così prestigioso ha amplificato, tocca il suo vertice (o forse sarebbe meglio dire il suo abisso insensato) quando poi Antonacci parla di ricerca della verità. Intanto sarebbe da capire cosa possa essere per un organismo animale quale lui vorrebbe fosse l’uomo cosa sia la verità. In più non si rende conto che se si cerca la verità, evidentemente non la si ha: ma questo non indica una mancanza, un deficit, un gap da colmare? E non è un “senso di colpa” che spinge a cercare quello che dovremmo avere e non abbiamo? Mi meraviglia la testata di un giornale che dà voce a certe idiozie e mi meraviglia l’impudicizia di chi, come Antonacci, pontifica su tematiche che hanno affaticato menti ben più elevate, pensando di dire chissà che cosa che, in realtà, ci dice solo che costui ha tanta, ma tanta nostalgia di essere un animale che però non è, grazie al Cattolicesimo.
ARTE : La bellezza non sfiorisce, non degenera con il tempo. Semplicemente si allontana da ciò che svilisce. Perché appartiene allo spirito. Nessuno può profanare la bellezza. Per questo nasce l’arte: la bellezza deve e vuole superare e oltre-passare tempo e spazio. Nessuna opera d’arte sarà bella come una bella donna; ma nessuna bella donna supererà il tempo come un’opera d’arte. Per questo credo avesse i suoi buoni motivi Aristotele quando coniugava insieme filosofia e arte, entrambe votate all’universale. Non è casuale, invece, che predomini una ‘storia dell’arte’, come se il particolare effimero e transeunte della storia possa dire anche solo una parola significativa su ciò che, viceversa, supera l’effimero e il transeunte particolare.
ASSEMBLEA: sui foglietti domenicali che accompagnano la funzione liturgica compare l’abbreviazione Ass., che sta per “assemblea” e dovrebbe indicare le risposte che i fedeli dovrebbero dare alle preghiere o invocazioni del celebrante. Il fatto è che “assemblea” è un termine sbagliato, perché i fedeli non sono “assemblati”, non sono una somma di individui. Posso parlare di assemblea in una chiesa riformata, per un gruppo di monaci buddhisti, per riunioni studentesche o sindacali, ma non per la chiesa cattolica. Questa è una comunità, dunque fedeli in comunione, dove non c’è un insieme di individui, dove ciascuno cerca qualcosa per sé e trova l’altro come assemblato. La comunità è formato da persone che trovano nell’altro il proprio fondamento e orientano il proprio per incontrare gli altri in nome dell’Altro.
BANCHI di CHIESA: le ragioni sono state certamente quelle funzionali, ma sta a noi arricchire di senso ciò che ci circonda, visto che tutto, di per sé, ha il mero valore che ha. Guardando questi vecchi banchi nella chiesa dove sto aspettando la funzione, vedo che lo schienale e il piano d’appoggio dell’inginocchiatoio coincidono: l’uno è anche l’altro e l’altro è anche l’uno. Come fosse un’interfaccia, una testa di Giano: lo schienale rende possibile a chi si siede di poggiare la schiena; ma esso è anche il piano d’appoggio di chi, dietro, è inginocchiato e ci poggia le braccia per pregare.
Si realizza così il senso della comunità, dove ognuno trova nell’altro il suo fondamento: non può esserci l’uno senza l’altro e l’uno non è mai uno, ma è anche l’altro e viceversa. Sedersi in chiesa su una sedia, non è la stessa cosa.
BELLEZZA : Uno sguardo dalla scogliera, in posizione rassicurante, laggiù, lontano, all’orizzonte, contempla la bellezza violenta di una tempesta, il vento sibilante, le onde impazzite, il cielo livido e carico di rabbia, l’intermittenza emergente di scogli e massi investiti dalla risacca furente, il velo umido che stempera i contorni. Kant ne ha indicato la sublimità, Friedrich ne ha partecipato contemplandolo con gli occhi del suo viandante sul mare di nebbia. Il nostro sguardo sembra dimenticare tutto e resta coinvolto dalla potente bellezza di quanto si offre ai nostri sensi.
Ugualmente, quando siamo di fronte alla caduta di una massa d’acqua da grandi altezze, e, vicini, avvertiamo il vento sollevato con violenza dall’acqua che ci accerchia, bagnandoci e disorientandoci, avvertiamo con stupore la misteriosa inesauribilità di quell’energia tanto esplosiva e ne rimaniamo affascinati, ammirati.
E quali sono le nostre reazioni di fronte alla vastità di una vallata, di una catena montuosa, di un mare serenamente disteso, di un giardino geometricamente idealizzato, così come di uno scorcio selvaggio e caotico di una foresta, dei tanti vitali suoni e rumori e versi di una jungla appena violata dall’uomo! Non è possibile elencare in natura ciò che riusciamo a cogliere come “bellezza” perché può essere un filo d’erba come l’infinito cielo stellato.
Una tale vastità quotidianamente vissuta come bella, viene comunemente definita come “natura bella”, “bellezza della natura”, “meraviglia della natura”.
Avviene un processo di reificazione, dove si oggettiva ciò che appartiene soltanto ed esclusivamente all’uomo. È come se avessimo bisogno di concretizzare e materializzare per mera economia mentale: è più facile spiegare in questo modo la misteriosa presenza della bellezza. È lì, davanti a noi e noi la percepiamo.
Non ritengo che le cose stiano così. Ritengo anzi che la modernità, in questo caso, con lo spostamento dell’asse conoscitivo sul piano del soggetto, sia l’approdo più verosimile per spiegare e capire quello che è comunemente definito il “fenomeno estetico”. Se infatti quella stessa tempesta che ci ha stupiti e che ha sollevato la nostra ammirazione, ci vedesse lì, in mezzo ad essa, con una fragile imbarcazione, quello stesso vento, la violenza delle onde, la nebbia che ci avvolge, il fragore assordante, tutte componenti che avevano elevato il nostro giudizio facendoci parlare di bellezza, queste stesse componenti si rovesciano improvvisamente in una tragedia, nel dramma vissuto di una sopravvivenza messa a repentaglio e non ci danno più presunte informazioni estetiche, ma solo messaggi drammatici.
Analogamente se fossimo trascinati da rapide e stessimo sul ciglio di quella cascata che tanto ci aveva fatto sognare e pensare e fossimo sul punto di dover essere trascinati dalle acque e cadere con quella massa imponente, non vedremmo alcuna bellezza, malgrado la realtà che è lì sia la medesima.
Come sono belle le dune di un deserto al tramonto! Il silenzio! La sua distesa senza fine! Per chi lo ha vissuto come me è esperienza mistica, gioia profonda e rasserenante. Ma se fossi in quel medesimo deserto, al tramonto, da solo, senza guida e dromedari che ti possano riportare a casa, non certamente la bellezza verrebbe colta, ma l’angoscia di una sorte che incomberebbe inesorabile.
La bellezza della natura, dunque, non c’entra nulla.
È il nostro spirito a poter e saper cogliere quello che nessun altro organismo in natura può e sa cogliere. Uno stesso oggetto può essere visto in multiformi prospettive e ciascuna di esse è un mondo, si articola come un contributo culturale.
CONSOLAZIONE: Il sacerdote invita a tenere a mente ogni domenica una frase-chiave del Vangelo affinché ci possa accompagnare durante la settimana, per meglio affrontare i problemi della vita quotidiana. L’invito è giusto, ma temo che nuovamente si sia aperto il solito equivoco: assistere all’Eucaristia, stare in chiesa con gli altri, cantando, dandoci il segno della pace, sentendoci tutti fratelli, non deve costituire una sorta di boccata d’aria buonista, né un momento consolatorio, di fronte alle realtà mondane, come una sorta di aver ripreso le forze necessarie per la battaglia di tutti i giorni . Queste realtà mondane vengono certamente affrontate meglio con la fede in Cristo Risorto, ma non perché abbiano valore e si possa affrontarle nel migliore dei modi dando ad esse valore centrale, ma perché quella fede mi deve ricordare che tutte le ansie quotidiane non sono che un complesso gioco creato dall’uomo nella sua ricerca di benessere, un gioco che come tutti i giochi deve essere fatto seriamente altrimenti non funziona, ma che, tuttavia resta un gioco. Non stanno qui le cose importanti, non sta qui la vita, non sta qui la festa. Usare la fede per meglio affrontare i problemi economici della famiglia, il mutuo, la malattia, una vita di coppia difficile, significa usare il fine, cioè la fede in Dio come mezzo, avendo per fine una migliore gestione dell’inutile terreno. La fede non è né consolazione, né oasi. È costante memoria dell’oltre trascendente.
CRISTIANESIMO GREEN: Come non poteva, al solito, la gerarchia ecclesiastica non schierarsi con la moltitudine dei difensori del pianeta, alimentando come sempre le macine del potere? E così, dall’ingresso sacrilego della pagana dea Terra Madre, con tanto di inchini di prelati & Co. Sino alle accorate suppliche pontificie verso la difesa della Tera, del pianeta, della natura, ecc. persino con cadute banali su una certa equivalenza della vita anche con il regno animale. Queste posizioni, ipocrite ed antropocentriche (si difende il pianeta perché vogliamo sopravvivere e far sopravvivere i nostri figli e nipoti), che celebrano il mondo animale dimenticando che ad esso appartengono anche creature meno nobili ed amate come scarafaggi, zanzare, mosche, ecc., che difende Madre Natura, dimenticando che è sempre essa a fulminare un uomo o dei giovani, a terremotare uccidendo in pochi secondi, a diffondere virus e batteri, natura anch’essi, a eruttare fuoco e lapilli sterminando uomini, donne e bambini, ecc. Soprattutto è ipocrita una Chiesa (o forse solo ignorante), che dimentica come sulla natura c’era il velo del peccato e che solo il Cristo, Redentore e Salvatore ha tolto, riscattando, uomo, storia e natura. Solo chi crede nel Redentore potrà vedere nella natura qualcosa di positivo, ché altrimenti essa, come sempre è stato sin dagli albori, è pericolosa, devastante, “matrigna”, implacabile e ottusamente al di là del bene e del male.
DECOMPOSIZIONE: non è argomento piacevole, anzi, in se stesso persino di cattivo gusto. Ma il pensiero non deve aver paura di riflettere. La vita si offre in tanti aspetti e su ognuno il nostro spirito esercita il suo dominio di comprensione. Ripenso a mio padre, a tanti amici perduti, a quello che io stesso sarò fra non molto. La prima dimensione che si perde, è la propria identità. Quella meraviglia che ognuno di noi è, quella bellezza che ho ammirato in tante donne, creature lievi che hanno attraversato la mia vita, capolavori di Dio, o quei volti di gente appena vista e che ha fatto parte della mia vita, ora non ci sono più. Dissolti. Perduti. La loro identità, il loro manifestarsi visibile con quell’espressione, quegli occhi, quella parola, quei gesti, dove sono? Il particolare che specificava ognuno, è il primo ad essere cancellato. Poi c’è lo scheletro, dove si possono ancora riconoscere alcune caratteristiche particolari, ma dove domina sempre di più qualcosa di più ampio di quel particolare, una struttura comune, una complessità normale, cioè di norma, per tutti, indipendentemente dalle differenze. E questo anche quando restano solo poche ossa. Infine l’annullamento totale, la polvere. Il nulla. Il cerchio si è chiuso. Dal nulla vengo e nel nulla approdo.
Mi è lecito pensare che, non provenendo nulla dal nulla, tanto meno la vita con la sua complessa ricchezza, Chi mi ha tratto da quel nulla, se L’ho riconosciuto, saprà fare altrettanto ora che nella polvere sono tornato?
EX SUORA: leggo che una suora, bruciata dopo aver scherzato con il fuoco della mondanità, avendo una bella voce, ha preferito lasciare l’abito e rincorrere successo, denaro e illusioni. Che si possa lasciare l’abito è umano: non tutti hanno la consapevolezza forte della loro vocazione e, dunque, se questa ragazza aveva una vocazione di superficie, è bene che l’abbia accantonata. Ma ho letto anche, della suddetta, che si è schierata dalla parte del transgender e dell’”amore” Lgbt, dichiarando, senza pudore, che “l’amore è amore!”. Così, abbiamo una nuova oca parlante, che non preoccupa perché difende l’aberrazione, ma, soprattutto, perché evidenzia che era stata fatta suora senza aver capito nulla, e sottolineo nulla, dell’amore cristiano, cioè del fondamento stesso dell’annuncio del Cristo! Mi chiedo chi verifica l’abissale ignoranza in cui versa il nostro clero!
FEDELTÁ: è la vera parità di genere. Ogni tradimento indica l’ego che tradisce come giudice dell’altro tradito che è, appunto, valutato come insufficiente, inadempiente, non paritario, giacché una parità di valore non indurrebbe al tradimento. Né va considerata l’erronea parità rincorsa dal femminismo che, depenalizzando l’adulterio femminile ha ritenuto di porsi finalmente alla pari con l’egoismo maschile. Non c’è parità di genere, ma individuale: ognuno fa quello che crede a danno dell’altro, ma l’altro non è “dentro” la relazione, se non come tradito. Non c’è parità di genere perché l’altro genere ha solo la funzione di mezzo, sia come amata-tradita, sia come amante-consumata. Colui che tradisce ha sé come inizio e fine della relazione: l’altro è in funzione sua, in ogni caso.
GENIO: Per capire che è un genio può bastare anche uno stupido. Per capire un genio bisogna essere geni.
GESÙ CRISTO : Penso che la doppia natura di Cristo, umana e divina, fra le tante implicanze, abbia quella di evitare ogni caduta nell’idolatria: divinizzare un uomo è idolatria, ma divinizzare chi si è professato Dio è corretto e significa santificare ogni uomo, mantenendo la distanza che la trascendenza impone, malgrado l’Incarnazione. Ogni imitatio Christi ha senso guardando alla Sua umanità, ché, altrimenti, cadrebbe nella pretesa idolatrica. Il prete ha detto durante la funzione: “conformarsi a Dio”: ha senso ortodosso soltanto se abbiamo Gesù incarnato come modello, altrimenti apriamo un varco nascosto all’idolatrico. Sentire dunque di “doversi conformare a Dio” lo trovo un atto di presunzione: c’è l’umanità di Gesù che può e deve essere seguita; la Sua divinità è inarrivabile, oltre ed altro, altrimenti saremo in grado, persino di mascherare come sequela una forma implicita di idolatria.
Che Gesù oggettivamente si presenti come risposta ed inveramento di Mosè, di Buddha, di Mohamad o di chiunque altro fondatore di religioni, movimenti o sette (indipendentemente dalla successione cronologica, perché sto parlando di livello semantico)) è un fatto ineludibile, indipendentemente dal mio crederci o meno. Storicamente, chiunque dovrà prendere atto che nel momento in cui parla di Buddha o di Mosè o di altri capi carismatici o fondatori, non potrà, per la tradizione che li ha proposti e per la stessa religione che li ha eletti quali fondatori o riferimento di base, identificarli con Dio. Perché non è questo che è per loro tramandato, detto, creduto, dagli stessi adepti e affermato dai fondatori medesimi. Per il Cristo, invece, il dato storico e la tradizione e la fede dei suoi adepti dice esattamente che si tratta del Figlio del Dio Vivente, il Dio incarnato, l’immagine visibile perché storica di Dio.
Senza credere ad alcuna di queste religioni che ho nominato e di quelle che non ho nominato, essendo questa identificazione con Dio un fatto unico (è l’Incarnazione, la Rivelazione, elemento centrale e fondante il Cristianesimo), non può essere ascritto alla stregua delle altre proposte religiose. Qui, oggettivamente, -sostenuto questo avverbio da un altro avverbio, storicamente-, si è di fronte ad una proposta che ingloba ed invera (porta a sensatezza e a compimento) tutte le altre proposte religiose. Perché non è esigenza, anelito, tensione, ma risposta. Non è illusione, immaginazione, ricerca più o meno individuale, ma rivelazione storica verificabile. Da tutti. E, ripeto ancora, indipendentemente dalla propria fede (confessionale o atea che sia).
IMMANENZA: Il serpente insidia ben celato nella realtà alla quale appartiene in pieno sino a strisciarvi. Ma sappiamo che è animale che si è caricato di varie simbologie. Spesso lo si è osservato raggomitolato, al punto da costruire un cerchio, dove, letteralmente, “si morde la coda”, esprimendo la tautologia tipica dell’autoreferenzialità dell’autarchia, del tempo pagano. Se l’Ebraismo romperà il cerchio pagano dell’eternità schiudendo la porta del futuro, della tensione, quella che l’èros platonico esprime perfettamente, Maria la giovane ebrea schiaccerà la testa del serpente, cioè di ogni immanenza che pretenda all’autosufficienza e soltanto Lei potrà davvero farlo mettendo al mondo il Redentore, cioè Colui che salverà l’immanenza dalla sua presunzione e insensatezza.
INSENSATEZZA: Chiedere “perché il male?”; “perché devo soffrire?” è come chiedere “perché sono imperfetto?”, “perché non sono DIO?”.
MESSA : Sono andato a Messa qualche minuto prima per un attimo di silenzio e riflessione. Ma come già capitato, i presenti chiacchieravano, ridevano, si salutavano, come fossero a teatro. Come se la funzione fosse l’unica ragione della loro presenza, senza avvertire minimamente il mistero di un luogo che è “casa del Signore”. Poi è suonata la campanella e come a teatro silenzio e interazione con la funzione: canti, preghiere, schitarrate varie, con gli attori sul palcoscenico-altare a realizzare una sacra rappresentazione. In un contesto del genere, persino la liturgia perde la sua valenza di mediazione rappresentativa del sacro, per trasformarsi in scenografia. C’è stato, alla fine, anche il solito applauso per alcuni cresimati. Una vera e propria messa in scena dove era assente il Mistero, il silenzio, lo sgomento dell’uomo di fronte a Dio. Perché non sostituire l’applauso con un canto di ringraziamento, liturgicamente istituzionalizzato? Quando un gesto entra nel contesto cristiano, ma questo perde la sua specificità in quell’atto, l’applauso appunto, che ha significati ed utilizzi diversi da quello ecclesiale, allora va cambiato, altrimenti è l’intrusione del profano nel sacro, una sacra profanazione.
In un’ultima esperienza amarissima,, con l’alibi di una più facile spiegazione per bambini, sono entrati nella funzione liturgica alcuni ragazzotti a recitare le parti di chi è isolato, chi lo emargina, del professore che interroga, ecc., con un linguaggio anche poco sorvegliato, seduti sui gradini dell’altare con le spalle al Santissimo. Non avrei mai pensato che il Sacrificio Eucaristico potesse aprirsi a queste oscenità profananti. Dimenticavo di aggiungere che il tutto è stato condito da risate e applausi conclusivi.
OMELIE: per le omelie domenicali non deve cambiare niente, se non la qualità, sempre piuttosto diffusamente modesta, quasi a livelli di banalità. Ma per eventi come battesimi, cresime, prime comunioni e matrimoni non si possono lasciare le medesime modalità. Tra gli invitati e presenti in chiesa, molti, se non la gran parte, non ha mai assistito a una Messa, né sa cosa succeda durante la funzione eucaristica. Fare un’omelia come se ci fosse un popolo di fedeli è seminare tra sassi e spine. L’ascoltatore ideale che va preso come riferimento, non è il fedele credente, ma quello incredulo e indifferente, che durante la funzione, si distrae, parla e ride, si guarda lo smartphone persino durante la Consacrazione (come, purtroppo, ho potuto constatare di persona). È lì perché “costretto” dall’invito e dalle formalità tutte umane di partecipazione. Se Dio dovrà toccare il suo cuore e aprire la sua mente, noi cerchiamo di fare la nostra parte, con omelie calibrate, e, in questo caso, costruite come se chi ascoltasse non fosse un credente.
OMOSESSUALITA’: Chi ama la differenza non può schierarsi a favore dell’omosessualità, la quale, appunto, è e vuol essere il trionfo dell’omos, dell’identico, dell’uguale, cioè proprio la negazione della differenza. I cosiddetti ‘diversi’ sono, dunque, diversi perché non accettano la diversità di genere e vogliono costruire le proprie relazioni sulla non-diversità. Una differenza, si badi bene, che superata con disinvoltura sul piano del rapporto interpersonale, deve essere però ripristinata nell’intimità: due donne non possono amarsi nell’intimità restando due femmine; così come due uomini non potranno amarsi nell’intimità restando entrambi maschi. Insomma, l’intimità ripristina la necessità della differenza perché l’uno sarà maschio, l’altro femmina. La coppia gay dovrà scimmiottare nell’intimità ciò che è norma nella coppia eterosessuale.
La relazione omosessuale ama solo l’alter-ego, non uscendo dalla propria soggettività, omologata nell’altro ed amato in quanto omos. È un amore anceps, dove non si accede all’alterità autentica e compiuta. Se due omosessuali si amano solo in quanto persone e non in base al sesso (meglio, alla genitalità), perché vogliono avere rapporti? Se il rapporto sessuale è nella coppia gay fondamentale (e lo è, in quanto un’amicizia fra due persone dello stesso sesso è amicizia, non omosessualità), allora ha rilevanza l’uguaglianza di genere. Ma il genere non definisce la persona: è una variabile che appartiene alla personalità: i diritti delle persone esulano dal loro sesso. Qui invece si costruisce sulla contraddizione maliziosa: ci si ama in quanto persone e basta, ma poi l’intimità sessuale è fondamentale, visto che non ci si ferma al solo rapporto di amicizia. Ma se l’intimità è fondamentale, vuol dire che lo era sin dall’inizio e, dunque, non ci si ama semplicemente in quanto persone, ma in quanto persone dello stesso sesso.
PREGHIERA DEI FEDELI: Signore ti preghiamo perché non ci siano più guerre, non ci siano più ingiustizie, perché il mondo possa vivere in pace, ti preghiamo che tutti possano avere un lavoro dignitoso, ti preghiamo per la nostra salute, perché questa pandemia possa terminare. Ti preghiamo anche che le istituzioni possano intervenire per salvaguardare il pianeta, per preservare la natura con giuste iniziative, affinché i Paesi più poveri non abbiano a soffrire a causa di quelli ricchi. Inoltre ti preghiamo per i nostri giovani, affinché trovino lavoro, comprensione da parte del mondo degli adulti e possano avere un futuro sereno.
Insomma, in una parola: Signore ti preghiamo perché si possa vivere qui, hic et nunc il Paradiso e non si abbia più bisogno né di pregarti, né di sperare in un aldilà.
Abbiamo nuovamente scelto Barabba, il liberatore terrestre. Siamo attaccati a questa vita come animali, come piante parassite e non abbiamo capito che senza il Cristo questa vita non vale niente.
PRETI: Ogni anno, con l’autunno inoltrato si devono fare i conti con esondazioni e smottamenti. Interi paesi invasi dall’acqua, strade dissestate, feriti ed anche qualche vittima. Si dice che il terreno non ha retto per colpa del disboscamento e perché non si sono fatti i dovuti controlli geologici prima di edificare. E la natura, spietata, fa pagare il conto. Ma è così anche per lo spirito. Ho ascoltato migliaia di omelie e tutte cercano di “costruire” (forse è un verbo azzardato) su un terreno mobile, confuso, instabile. E ogni nuova indicazione omiletica non fa che aumentare il caos e il mix sincretistico dei fedeli. Pochi si preoccupano di chiarire le radici, l’identità, la costante chiave di lettura. Più facile ripetere slogans appresi in seminario, ripetuti acriticamente, senza spiegazione e sui quali ciascun fedele nel proprio intimo dice la sua, confondendola con altri dati appresi o che sta in quel momento ascoltando. Vita eterna e reincarnazione, Provvidenza e fatalismo sublimato, pace sociale e mitezza d’animo, carità e filantropia, testimonianza ed impegno politico, dialogo e relativismo, verità e consenso, universalità e condivisione, tutto viene confuso e mixato, accrescendo lo stato confusionale generale. È ancora possibile essere riconosciuti, come Gesù ammoniva, nel proprio vivere cristiano?
PROVVIDENZA e POP ART: Il concetto di Provvidenza che è popolarmente creduto e clericalmente diffuso è quello per cui ciò che accade è volontà di Dio. Insomma, comunque vadano le cose o si ringrazia per ciò che ci rallegra e ci soddisfa o si accetta supinamente perché è così che Dio vuole. Si tratta di quell’ananche greca, di quel fatum latino per cui tutto ciò che accade non può che accadere ed è giusto che lo si accetti, nel bene e nel male. È la “filistea” (la definizione è di Nietzsche) accettazione del fatto compiuto, da giustificare ad ogni costo, per dare ad esso una motivazione. Si è cambiato il termine, ma concettualmente siamo ancora in pieno paganesimo: si definisce Provvidenza ciò che prima era mera fatalità o fatalismo. Come al solito, il rasoio di Occam fa vittime: la scelta della via più semplice e breve è un alibi per la pigrizia mentale e per essere sempre più allineati alla funzionalità animale e sempre meno alla specificità inquieta e problematizzante dell’uomo.
E così, il vasaio ringrazia Dio del sole cocente che può accelerare il processo di asciugatura dei suoi manufatti, mentre a pochi metri di distanza un agricoltore vede, tra una maledizione e l’altra, il suo raccolto morire per quello stesso caldo.
Il primo è benedetto da Dio, mentre il secondo deve capire che “dietro” quel fatto c’è un misterioso disegno della Provvidenza. Ovviamente, l’esempio portato è indolore e incruento, ma provate ad allargarlo a grandi tragedie, personali e storiche. Se tutto va bene si deve ringraziare Dio, se va male, si fa schermo sofista per dire che Dio non c’entra o che bisogna accettare la Sua volontà.
La presunzione umana, il suo irriducibile antropocentrismo, la sua untuosa e fittizia umiltà di rimettersi alla volontà di Dio nasconde ogni volta la sacrilega e goffa pretesa di assegnare al contingente, che è effimero, transeunte, precario ed insignificante, un valore celeste, assoluto, significativo, sovrannaturale. Come a supporre che, in fondo, anche il nulla che siamo e che facciamo, sia sotto l’attenzione del Padre Eterno. È un modo implicito e forse inconsapevole di riscattare la precarietà dal suo stato senza senso, per farla diventare un qualcosa degno di valore.
Ma il fatto è che il contingente non può reggere ciò che è perfetto e compiuto, cioè l’assoluto. Non è l’uomo a poter riscattare se stesso e i suoi prodotti dall’insensatezza sfruttando l’etichetta del sovrannaturale, al quale si ascrive quanto avviene. Questo è panteismo pagano ed idolatria che, se lo si osserva in modo più attento, escluderebbe ogni significato alla Redenzione. Se dobbiamo accettare ciò che accade, nel bene e nel male, in quanto voluto da Dio, se tutto quanto accade è voluto da Dio e segue il Suo progetto, perché mai il Redentore?
La precarietà è idolatrica se produce in modo arbitrario anche se mascherato qualcosa di assoluto. Non le compete ed anzi ne è goffa interprete, scade nel ridicolo. L’assoluto non diviene, non è precarietà, transitorietà, ma è perdurare, è fissità, perché compiuta e non bisognosa di divenire ulteriormente. Dalla prospettiva finita e transitoria, la fissità non può che essere la morte, che, certamente è compimento solo per chi assume la precarietà come indebito assoluto. Indebito e contraddittorio, al punto che la morte rappresenta, in questa ottica, il fine. Vincere la morte è condannare a morte la morte ed indicare una fissità completa e compiuta che è pienezza e che è risposta radicalmente alternativa alla fissità nientificante della morte.
La precarietà non può reggere una relazione con l’assoluto se è essa a pretenderlo. Si immagini una persona qualunque, io stesso che qui scrivo, mentre si parla o si scrive. I movimenti, le parole e tutto ciò che accompagna la manifestazione comunicativa di questa persona, al di là dell’essere d’accordo o meno sul piano dei contenuti, è in ogni caso qualcosa che troviamo conforme, omogeneo al nostro stato: per questo motivo ascoltiamo o leggiamo rimanendo persino condizionati dalla gestualità dalla passione, dal tono di ciò che viene detto.
Tutto ciò succede perché perviene in modo precario, cioè diveniente, come noi tutti, divenire e precarietà. Ma se fossimo registrati attraverso un video e poi nella visione delle immagini, fossimo più volte stoppati, fermati nello scorrere del video, cioè il divenire diventasse fissità dell’immagine, fotogramma fermo su un particolare, ecco che ci scopriamo ridicoli, goffi con espressioni che mai avremmo pensato di aver visto o fatto e che nel divenire non sono stati colti o sono stati colti in un insieme che ci ha coinvolti. Quella fissità, lontano parente della fissità della perfezione, seppure a livello elementare, provoca un corto circuito, ridicolizzando la pretesa del particolare transeunte di assurgere al perdurare immutabile dell’assoluto. Tanto più pathos si è gettato nel parlare quanto più fermare o rallentare al massimo quelle immagini genera derisione.
Il tentativo di riscattare la propria precarietà è qualcosa che segna tutte le attività umane, non soltanto le religioni. Non si tratta, dunque, di qualcosa che segna l’errabilità umana. Ciò che è errato è il modo, non conforme a quanto richiesto ed inadeguato, ma ciò che spinge a questa ricerca di riscatto della transitorietà è la nostra radice e vocazione all’eterno.
Questa relazione qui evidenziata è quella che sorregge tutta l’arte. L’arte sottrae quel particolare dal mutare del tempo e dello spazio collocandolo in una sfera sovraspaziale e sovrannaturale, perché sovratemporale, dai paesaggi alle nature morte, dai ritratti alle forme, l’arte redime il banale transeunte e lo “eternizza”.
Quanto fa l’arte in genere, viene realizzato in modo esplicito ed evidente dalla “pop art”. Questa, al di là delle definizioni “tecniche” è la sottrazione del banale ed ordinario dalla sua contestualità per elevarlo ad oggetto estetico, già solo semplicemente separandolo o incorniciandolo o raffigurandolo. E così barattoli di pelati, di zuppe, orinali, deiezioni umane ed altre nullità del quotidiano vengono “redente”, “riscattate” dal loro stato precario e banale per diventare qualcosa di celeste, assoluto, capace di valicare i limiti spazio-temporali ed individuali.
Quale il rapporto tra il concetto di Provvidenza dal quale siamo partiti e la pop art? si tratta del medesimo atteggiamento: ciò che si manifesta nella fattualità quotidiana va inserito in un ordine diverso da quello della mera cosalità, affinché possa acquisire un significato. L’uomo, consapevole precarietà, si ribella, più meno dichiaratamente, a restare e a vivere ed operare senza superarla. Deve pur avere un senso ciò che vivo e sono! Ma la Provvidenza è cristocentrrica. Cristo è la Provvidenza. Lui è l’azione diretta di Dio nella storia dell’uomo. È Lui che dà senso ad ogni evento, persino al dolore, all’abbandono, alla solitudine. E chi crede in Lui appartiene al mondo celeste, alla sovrannaturalità, non perché un fatto qualunque viene assegnato a Dio come sua causa, ma perché in Cristo, per chi lo vuole, acquista significato, orientamento e valore. Di nuovo non dall’uomo a Dio, ma da Dio all’uomo. Dio, non idolatria mascherata. Allora ha senso pieno la Redenzione: essa tocca e santifica la vita per tutti coloro che credono in Cristo.
L’uomo non è condannato da Dio post mortem: semplicemente, se io non ho voluto, in piena coscienza e deliberato consenso, appartenere a Cristo, a credere alla Sua Resurrezione, Dio rispetterà sino in fondo ciò che io ho liberamente scelto ed io non avrò quanto è pienezza di vita ed eternità, fondate sulla Resurrezione di Gesù. Dio nel rispetto della mia scelta mi lascerà nel non-senso che ho pervicacemente voluto.
RELIGIONE : Sto rileggendo Marx e ritrovo la celeberrima “la religione è l’oppio dei popoli”. Un’affermazione che contando sulla suadenza del materiale, dell’utile e dell’economico sullo spirituale si è facilmente diffusa come convinzione presso la liquida massa gregaria, facendosi forte dell’invidia di chi non ha, verso chi ha. Ma come sempre, basta andare alle premesse per ritrovare il dogmatismo di questa affermazione apparentemente sorretta da argomentazioni.
Basta, infatti, partire dal presupposto che lo spirituale sia superiore al materiale e l’affermazione di Marx gli si torce contro: è il marxismo, rispetto agli autentici problemi della vita, l’oppio dei popoli, con la sua assolutizzazione dell’effimero, del precario, del . Che poi lo spirituale sia superiore al materiale è oggettivamente mostrato dal fatto che il secondo si esaurisce nello hic et nunc, laddove lo spirituale è contrassegnato dal semper e la stessa ipotesi materialista, se vuole avere un senso, si deve rivestire di “valore”. Cioè di spiritualità, come idea o ideale. Nel caso del marxismo la maschera ideale è la giustizia sociale.
VERITÀ : Sul muro di una stradina di collegamento vicino casa trovo scritto: “Tutto quello in cui credi è falso”. Agostino illumina. Se così fosse, infatti, credere in questa affermazione sarebbe altrettanto falso! Ergo, si potrebbe allora dire che “tutto è falso”! ma ancora sarebbe falsificata questa stessa affermazione e, di conseguenza, sarebbe precisamente questo una prova della ineludibilità della verità, come categoria mentale, come forma mentis. Negare la verità, infatti, avrebbe valore soltanto se tale negazione fosse concepita come vera. Il negativo, in quanto particolare, non può essere assolutizzato. È mera idolatria.
TELEOLOGIA : C’è una verità che fa pensare: il moscerino della frutta ha gli stessi geni dell’uomo, eppure l’uomo è molto più complesso. Dove sono le differenze se non nel DNA, cioè nella sua programmazione? Tutte le molecole del DNA (i cromosomi) sono costruite con gli stessi elementi: i due nastri e le quattro basi. Tutte! Quelle del semplice filo d’erba, di un misero insetto, di un uccello, di un cane, e anche quelle di un uomo… i due nastri e le quattro basi. E ciò che fa in modo che i DNA producano un filo d’erba, un insetto, un uccello, un cane o un uomo… è il numero delle molecole e la programmazione. Per esempio: la cellula dell’uomo ha 46 cromosomi, la cipolla ne ha 14, il pollo ne ha 78, ecc… Mi chiedo: ma quando mai la quantità, pure estesa, produce la qualità? A guardare i numeri il 78 del pollo dovrebbe rivelarsi più complesso del 46 dell’uomo! Allora è la programmazione? Se non si vuole creare un corto circuito nel pensiero, non si può mettere insieme “programmazione” e “casualità”.
TRINITÀ : Partendo come esempio da una qualunque parola, questa unica parola (Sostanza) in tre livelli uguali e distinti (Persone) dove l’ultima procede dalle prime due.
Livello semantico Dio Padre significato
Parola Livello semiologico Gesù segno visibile
Livello ermeneutico Spirito Santo significato nel
tempo
Del resto, non va mai dimenticato, Gesù è Verbum, Parola, segno udibile, tangibile del grande significato della vita depositato in Dio, anzi Dio stesso.
25 APRILE: il presidente dell’ANPI di Viterbo ha rifiutato di dare la mano a Vittorio Sgarbi sindaco di Sutri, presente alla rievocazione della Liberazione. Ignoro i motivi, ma faccio una riflessione di struttura dialettica hegeliana. Se davvero Sgarbi è così lontano, anzi estraneo o ostile alle posizioni del presidente ANPI in questione, egli è intervenuto in ogni caso alla festa di Liberazione, senza avanzare scusanti per una eventuale assenza e ha partecipato, anche se, sempre che siano vere le illazioni ANPI, era di fronte a qualcosa di lontano dalla sua posizione politica, rappresentando chi lo ha eletto democraticamente. Ha dunque superato le private considerazioni per un gesto e una presenza dal forte valore pubblico e dal profondo significato sociale. Quale è stata la risposta? Questo presidente ANPI viterbese non è stato neppure capace di un semplice gesto come la stretta di mano verso chi, a suo giudizio, sarebbe su posizioni politiche opposte o diverse dalla sua, ignorando che dietro quella figura c’era una maggioranza da questi democraticamente rappresentata. Dunque, mentre Sgarbi ha superato il proprio interesse e il proprio credo (ammesso che fosse quello dell’illazione ANPI) con più gesti, scelte e azioni aperte all’altro, il presidente viterbese ANPI, e, in quanto presidente debbo pensare tutta l’ANPI di Viterbo, non è stato neppure capace di un semplice gesto che superasse la sua mera posizione privata. Non credo ci siano dubbi su chi dei due ha dato autentica prova di democrazia. Resta anche il dubbio se persone come quel presidente abbiano capito davvero la lezione del fascismo, visto l’intolleranza, tutta perbenista certo, ma che resta intolleranza verso chi non la pensa come lui o loro. Trovo esemplari i due twitter di Sgarbi: “nulla è peggio del fascismo degli antifascisti” (Pasolini); “il più bello esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dare del fascista a chi fascista non è” (Sciascia). Insomma, purtroppo, il fascismo non si è del tutto spento.
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