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L’OPPIO DEI POPOLI - Dialogo di tre viaggiatori

Immagine del redattore: Roberto RossiRoberto Rossi

La pretesa di questo dialogo a tre è quella di affrontare tematiche diffuse e complesse in modo semplice, anche se non esauriente. Tuttavia, se si legge con attenzione, per ogni problema che viene proposto e analizzato viene fornita una chiave di lettura che può essere autonomamente utilizzata dal lettore in un suo eventuale personale approfondimento.

Ringrazio per la collaborazione nella composizione del dialogo Luca Reggio e Mario Balzano.

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Manfredi: è da tempo che non credo più…i primi grossi dubbi li avevo già da adolescente, come in genere capita, ora che sono adulto, mi rendo conto, che la religione è un’invenzione degli uomini per rispondere alle cose che non si riescono a spiegare. Ora c’è la scienza…che senso ha la religione?!

Edoardo: beh…, potrebbe avere la sua utilità sociale. Anche se è una favola che ci hanno inculcato da piccoli per cui ognuno crede le cose che gli hanno insegnato i propri genitori,… è un freno, una serie di regole. In fondo è un deterrente, anche se non c’è niente di vero, perché se fossi nato da un’altra parte crederesti in un altro Dio, in un’altra religione. Tutte le religioni sono uguali. Ognuno può credere in quello che vuole.

Paolo: a mettere in discussione o porre problemi c’impegniamo con determinazione, quasi volessimo così mostrare la nostra personalità critica, e poi è molto facile: basta mettere un punto interrogativo alla fine di ogni affermazione che si ascolta, ma quando poi si tratta di affrontarli seriamente quei problemi, al di là dei luoghi comuni, scegliamo come risposta la via più facile, pigramente, la strada più utile e breve, capace di fornirci l’etichetta giusta per non doverci più pensare e mettere risposte preconfezionate nello scaffale della nostra memoria.

Edoardo: cosa vuoi dire?

Paolo: vi siete chiesti, suppongo, da dove provenga questo senso religioso!? Solo dall’educazione?


Edoardo: sì, e secondo l’educazione si è di questa o di quella religione.

Manfredi: ma anche l’ignoranza, la paura di confrontarsi davvero con la vita di tutti i giorni. La fede è soltanto un’astrazione, un’evasione, è come vivere in una campana di protezione per non occuparsi dei veri problemi della vita, del lavoro, della famiglia, della politica… Dio è un’invenzione dell’uomo, una consolazione, un rifugio. E questo fa comodo anche al potere.

Paolo: non pensate che credere in Dio significa dare valore a tutto, all’uomo, a quello che costruisce tutti i giorni, alla natura, alla storia?

Edoardo: forsese non impone dogmi, certamente può avere un suo significato.

Manfredi: Dio non esiste, è tutto natura, al massimo si potrebbe parlare di una specie di energia… Come faccio a credere che ci sia un Dio se succede tutto quello che succede? Parlate di un Dio che è buono e misericordioso e il mondo è pieno di ingiustizia, di morte, di malattie…come si fa ancora a credere in un Dio!

Edoardo: La felicità è raggiungibile da quello che ottengo in questo mondo, dai risultati concreti che tutti i giorni posso ottenere. Ora, Paolo, ti chiedo: perché dovrebbe interessarmi l’esistenza di un Dio? Io sono qui, su questa terra e qui stanno tutti i miei problemi. È un mio dovere affrontarli e cercare di risolverli.

Manfredi: questo mondo ed io, uomo di questo mondo non di altro, abbiamo qui tutte le nostre risposte. La vita si spiega con la vita. La scienza ha fatto luce su questo. E i tanti perché li stiamo spiegando via via con il tempo. Non c’è bisogno di illusioni trascendenti.

Paolo: non si tratta di spiegare le cause dei fenomeni della natura con la fede in Dio. Dio non è un surrogato di una legge fisica o un suo sostituto. La domanda religiosa è una domanda interiore che non può confondersi con una spiegazione scientifica.

Manfredi: la domanda interiore è una spinta adolescenziale da superare. È il mancato adattamento dell’uomo che, però, una volta adulto, finalmente capisce e trova le sue risposte in questo mondo, soprattutto attraverso la scienza. Soltanto in questo modo si riesce a vivere e si riesce ad affrontare i veri problemi della vita.

Edoardo: e poi non serve essere cristiani per aiutare gli altri. È naturale in ogni uomo la spinta ad aiutare. La solidarietà è un fatto naturale. Lo diceva già Lombardo Radice: «la misericordia non è un privilegio del credente. Ben lo sapeva Cristo allorché narrò la parabola del buon samaritano»[1].

Manfredi: sono valori civili, umani, valori che anche chi non crede, che anche un laico senza fede religiosa possiede naturalmente, senza bisogno di essere cristiano.

Paolo: quando si parla di fede religiosa, di religione, tutti si sentono autorizzati a dire la loro. Non è cosa sbagliata, ma solo se viene fatto con rigore e metodo, non ammassando problemi e valutazioni e, soprattutto, dando per scontato ciò che non è scontato. Abbiamo nell’attuale panorama culturale, intellettuali finissimi nelle proprie competenze, ma che stilano giudizi di una banalità disarmante quando devono affrontare, direttamente o indirettamente, l’argomento religioso.

Edoardo: cosa vuoi dire?

Paolo: le vostre considerazioni sono passate dalle illusioni che porterebbero a credere in Dio, alla confusione tra il sapere razionale scientifico e l’intelligenza religiosa, sino a giungere al problema della morale.

Manfredi: una volta che si è definito Dio una illusione, il resto viene da sé, come conseguenza. Cosa c’è di sbagliato?!

Paolo: sarebbe lo stesso che io dichiarassi la scienza un’illusione del potere dell’uomo e da questo convincimento facessi derivare tutta una serie di considerazioni. Che faresti tu? Mi fermeresti subito affrontando il presupposto per poi chiarire le conseguenze sotto un’altra luce.

Manfredi: senza essere necessariamente marxista, trovo comunque giusta la definizione di Marx che la religione sia niente altro che “l’oppio dei popoli”, un distraente, una consolazione che serve, tuttavia, a paralizzare ogni forma di possibile rivolta sociale.

Edoardo: d’altra parte, non è stato così, sul piano storico?

Paolo: il tuo riferimento a Marx, caro Manfredi, dimentica ciò che, ad arte, è stato sempre omesso. E cioè che il contesto religioso in cui agisce e scrive e opera Marx è quello luterano. E, a dir la verità, se quello è davvero il riferimento, come in effetti è, Marx ha ragione. È il Luteranesimo che fa di Dio una proiezione soggettiva dell’uomo, che trasforma le Scritture secondo le proprie soggettive attese, diventando un vero e proprio cantuccio consolatorio. Tutta la filosofia occidentale ne ha risentito e le stesse critiche di Feuerbach prima e di Marx poi alla religione, come idealizzazione alienata delle condizioni frustranti vissute storicamente, dunque un Dio che è alimentato semplicemente dall’io idealizzato, dall’io divinizzato, sono precisamente volte alla visione luterana che è proprio questo: l’uomo che si divinizza, l’uomo che si assolutizza e che lo fa nella sua soggettività.

Manfredi: e perché!? Non è così anche per il cattolico?

Paolo: per niente. È l’esatto contrario. Il cattolico si piega alla mediazione, alla Tradizione, al dogma. Questo può anche essere criticato (e poi, se volete, se ne potrà parlare), ma il dogma è, precisamente, la presenza di un riferimento oggettivo che orienta la soggettività di ognuno. Non è una fede privata quella cattolica, ma comunitaria, non è un rapporto con Dio di tipo irrazionale, sentimentale, ma storico, ragionevole e ragionato, mediato dalla e nell’alterità, cioè da ciò che supera, per definizione, la soggettività privata. Come cattolico non posso farmi Dio a mia immagine e somiglianza, come può fare un fedele luterano. Devo rendere conto alla storia, alla comunità, alla Tradizione, al Magistero, alla Rivelazione.

Edoardo: ma anche i luterani sono cristiani! Anche loro credono nella Rivelazione di Gesù!

Paolo: è proprio questo che hanno sempre trascurato, paradossalmente. La dichiarazione consapevole in tal senso di un luterano autorevole come è stato Karl Barth lo fa ben comprendere. Il fatto stesso che nelle chiese luterane e riformate in genere, non ci siano immagini o rappresentazioni o statue se non in casi eccezionali, perché già presenti ad esempio, evidenzia come la mediazione storica che è la visibilità di Dio in Gesù Cristo, sia stata del tutto trascurata. È come un ritorno all’Antico Testamento e all’ineffabilità di Dio. Ma Dio si è fatto carne, immagine, icona visibile e io fedele cattolico non ho l’alibi di poter o dover immaginare Dio nel mio cuore, non avendo riferimenti esterni che lo rappresentino! Tutti noi, come cattolici, ci riferiamo a qualcosa che è sovra-soggettivo, non irrazionalmente chiuso nella privata illusione sentimentale.

Manfredi: Gesù è Dio? E chi lo ha detto?! Era un uomo come gli altri, capace di coinvolgere la gente e che è stato, per interesse, divinizzato.

Edoardo: del resto, forse con la venuta di Gesù l’uomo è migliorato? È sempre lo stesso. Cosa mi rappresenta allora il crocifisso, se non che ha fallito storicamente!?

Paolo: ecco, vedete? Di nuovo fuggite dal problema. Si stava analizzando se Dio è soltanto un’illusione e voi già avete portato l’argomento su Gesù! Avete fatto quello che fanno tutti! Non si ha la pazienza e l’umiltà di approfondire qualcosa (a mio avviso perché se ne ha paura) e appena si oltrepassa la superficie del “si dice”, “si pensa”, ecco la fuga in avanti, su un altro tema di grande difficoltà. Ma così facendo, non si potrà mai fare luce su questi argomenti!

Edoardo: d’accordo. Seguiamo la tua riflessione. Sei d’accordo anche tu, Manfredi?

Manfredi: la seguirò per curiosità, ma resto del tutto scettico sulle possibilità di Paolo di argomentare secondo ragione su un tema del genere.

Paolo: in un certo senso è vero che non argomenterò secondo ragione, perché cercherò di farlo secondo intelligenza. E ragione e intelligenza sono due facoltà molto diverse.

Edoardo: va bene…sentiamo.

Paolo: intanto, avrete notato come sia ormai naturale per noi tutti dire “hai ragione”. Noi siamo abituati a questa espressione, ma è datata. È da Cartesio che incomincia ad essere utilizzata e dico da Cartesio, suo malgrado, visto che le cose non sono andate come egli avrebbe voluto.

Manfredi: cosa intendi dire?

Paolo: Cartesio voleva essere un apologeta del Cattolicesimo, voleva difenderlo dal pensiero e dalla morale dei libertini, i precursori dell’Illuminismo! Non voleva creare alcun pensiero moderno, alcuna pretesa razionalista o antimetafisica, ma mettere la ragione al servizio della fede. Le sue conclusioni, purtroppo, sono andate oltre le sue aspettative e le sue finalità.

Edoardo: d’accordo, ma perché stai ricordando Cartesio?

Paolo: perché, -dicevo-, che “hai ragione” nasce come espressione quando questa, la ragione, va a identificarsi con la verità. Prima si diceva “dici bene”, “dici giusto”, “dici il vero”, oppure “è vero”, “è giusto”, e così via. Da Cartesio in poi, il mezzo, lo strumento di conoscenza, cioè la ragione, è diventato, come per incanto, la verità stessa, sostituendola completamente. Il mezzo al posto del fine. Errore grossolano e carico di negative conseguenze. Ciò che è evidente, almeno ai miei occhi, è che si tratta di un’assolutizzazione indebita della ragione, di una scelta puramente ideologica, di una confusione che, di fatto, fa passare per verità solo ciò che risponde alla ragione. Manfredi ne è un esempio vivente!

Manfredi: e perché!? Quale altra possibilità abbiamo!? La ragione è l’unico strumento affidabile, insieme all’esperienza. E sia la ragione che l’esperienza mi dimostrano che Dio non c’è! Dove sta? Lo possiamo sperimentare, vedere, toccare, sentire o dimostrare?

Paolo: perfetto! Ora siete davvero sulla stessa lunghezza d’onda della mia riflessione!

Edoardo: come???

Paolo: Manfredi, di fatto, ha implicitamente richiesto una Rivelazione, una Incarnazione. Se Dio c’è, si faccia vedere. E questo lo ha fatto in Gesù Cristo. Non vi sembra che già questa enorme differenza non possa rendere tutte le religioni di egual valore? Nessuna religione afferma che il suo fondatore o fondamento di vita sia Dio, ma un intermediario o sostituto o profeta o altro. Adesso sarebbe stato conseguenziale affrontare l’argomento-Gesù, ma devo ancora una risposta al Dio-illusione di cui avete parlato, soprattutto Manfredi.

Edoardo: a me non interessa che Dio esista o meno. Può essere utile per educare la gente, per giustificare le leggi, ma la mia vita resta qui, ed è qui che voglio viverla al meglio.

Paolo: perché caro Manfredi, ti sei aggrappato alla scienza come ciò che può darti le giuste risposte? Perché caro Edoardo, ti preme tanto pervenire ad una vita serena e ad una condizione di benessere? Se ciò che eravamo in origine fosse stato bastevole, se la natura che ci ha prodotti (visto che neghiamo Dio come presupposto) ci avesse fornito, come ha fatto per animali e piante, le giuste risposte alla sopravvivenza, avremmo avuto bisogno di cercare qualcosa di meglio? Dietro la parte illuminata dei termini “evoluzione” e “progresso”, c’è quella scura, la parte buia, che nessuno ricorda e che rifiutiamo di pensare: se mi evolvo o progredisco, è perché lo stadio che occupavo in precedenza e che pure sembrava essere per quello ancor prima una scopo migliore, si sta rivelando anch’esso inadempiente, insufficiente, incapace di risposte adeguate. In definitiva progredire ed evolversi significa giudicare, ogni volta, ciò in cui precedentemente speravo, come qualcosa che mi ha deluso e che devo ulteriormente superare.

Manfredi: ma ti vuoi di nuovo, come del resto già è stato fatto, metter contro la teoria darwiniana? Di nuovo fede contro scienza?

Paolo: ma cosa ho detto sino ad ora che appartiene alla fede? È stato, il mio, un ragionamento, un’argomentazione razionale. Non riempirti di vecchi pregiudizi per giudicare quanto sto dicendovi. Ascolta quello che dico da uomo razionale, senza l’emotività pregiudiziale, e rispondimi sullo stesso piano, cioè dell’argomentazione razionale. La fede qui non c’entra nulla! Avresti avuto bisogno di scienza se la natura ti avesse provvisto delle risposte adeguate? Paradossalmente ti chiedo: per quale motivo, ad un certo punto, alcune scimmie hanno iniziato un processo evolutivo, se erano già appagate dal loro stato di natura?

Manfredi: sono state quelle che hanno cercato una soluzione più idonea per sopravvivere.

Paolo: cioè, quella di complicarsi la vita, di farsi domande alle quali non sa rispondere, di saccheggiare e violentare la natura… Perché mai, pensi, che quando ci si vuole riposare, magari proprio in natura, l’uomo dica di non voler aver pensieri? Perché il pensiero complica, affanna, inquieta, destabilizza, affatica, tutto ciò che la natura esclude scegliendo la linearità più semplice e veloce, come è ad esempio l’istinto. L’istinto non pensa, non si affanna, non dà inquietudini, non si complica inutilmente!

Edoardo: quella percorsa, certo, è stata una possibilità sbagliata, insomma abbiamo percorso una scelta certamente sbagliando gli obiettivi!

Paolo: sbagliando rispetto a cosa? Quando si parla di evoluzione si deve chiarire quale sia il riferimento rispetto al quale ci si evolve. In questo caso, se l’uomo è solo animale fra animali, il suo processo evolutivo deve avere il suo modello nell’animalità! E già questo è messo in discussione, visto che abbiamo scelto, cioè abbiamo fatto ciò che nessun animale fa. Inoltre, avendo scelto male, giudichiamo che è male riferendoci, correttamente, al modello naturale al quale avremmo dovuto riferirci e che invece abbiamo del tutto dimenticato!

Edoardo: sì! E allora?

Paolo: per prima cosa ti chiedo come può un animale evoluto, dunque un animale che avrebbe dovuto amplificare la sua animalità, esplicarla al massimo grado, come possa aver dimenticato o rifiutato il modello naturale! Inoltre come posso continuare a parlare di evoluzione, quando i fatti mi costringono oggi a metter riparo ai danni che questo animale cosiddetto evoluto ha recato alla natura? Dal punto di vista animale, un qualunque animale, ma anche una qualunque pianta è più naturale di noi, più perfetta di noi.

Edoardo: e la scienza?

Manfredi: la scienza viene dal progresso e dalla ragione, quella che animali e piante non hanno.

Paolo: è qui che ti chiedo, vi chiedo di riflettere. Animali e piante non hanno la ragione perché non serve loro a nulla! Che cosa se ne fanno!? Cosa vorreste dirmi: che la ragione rende più complessa e irrisolvibile la nostra vita e che questo, rispetto alle lineari incontrovertibili perfette risposte di animali e piante, sia una forma di progresso? Ma perché pensate che la natura abbia su di noi un continuo richiamo? Con la sua imperturbabilità, il suo scorrere senza affanni, senza scrupoli o problemi morali, senza consapevolezza del dolore e della morte, senza assilli conoscitivi, affettivi…Perché in essa sembra si ritrovi pace, serenità, riposo? Non vogliamo ammetterlo, ma, -altro che progresso!- dal punto di vista animale, cioè naturale, ve lo ripeto, ogni altro organismo che non sia l’uomo è più perfetto e felice dell’uomo. È come deve essere, né più, né meno. Nel proprio limite e nella propria identità animale o vegetale, è un ente compiuto. Non ha bisogno di complicare la sua esistenza, i suoi problemi, il suo stato originario. Per questo non ha bisogno di sviluppare la ragione. Semplicemente perché è un inutile fardello antinaturale.

Edoardo: come antinaturale!?

Paolo: se parti dal presupposto che sia uno sviluppo evolutivo della natura, è chiaro che ti meravigli! Ma prova per un attimo a ipotizzare che la ragione, o meglio il pensiero in generale, non abbia niente a che fare con la natura. Ti spiegheresti persino i problemi del disastro ecologico che stiamo recando al pianeta. Se invece fosse tutto un’evoluzione naturale, di quale evoluzione stiamo parlando? Di quella che cementifica? Di quella che disbosca? Di quella che motorizza e inquina? Ma case, palazzi, grattacieli, strade, ferrovie, autostrade, centri commerciali, automobili, navi, aerei e mi fermo qui, non sono esemplificazioni del tanto celebrato progresso? E cosa imputiamo oggi a questo progresso? Di non rispettare la natura! Dunque la natura si evolve con qualcosa, il progresso, che, mediante una sua filiazione, anch’essa naturale, cioè la ragione, va a metterla a repentaglio! E, non a caso, questo progresso deve fare marcia indietro, tornare ad un progresso limitato, sostenibile come si dice oggi, cioè misurato. Il che significa che esso non è prodotto naturale, altrimenti più si fosse manifestato e si fosse esplicato e maggiore sarebbero stati i vantaggi per la natura che lo aveva prodotto!

Manfredi: dove vorresti arrivare!? Natura non facit saltus, come ricordavano Leibniz e Linneo.

Edoardo: certo che se l’uomo non si pone limiti e vive esclusivamente per i propri interessi, dimenticando, ad esempio, le generazioni future, la natura non può che andare in tilt!

Paolo: un animale evoluto, anzi il più evoluto, non può mandare la natura in tilt! È vero che la natura non fa salti! Ecco perché l’uomo non è soltanto natura!

Manfredi: continuo a non capire dove vuoi arrivare.

Edoardo: cosa vorresti dire!? Che l’uomo è una sorte di errore, come credono in Oriente?

Paolo: è un errore se alla vita viene per caso, non se è dentro un progetto.

Edoardo: cioè?

Paolo: solo un figlio per caso è considerato un errore; un figlio amato è sempre dentro un progetto.

Manfredi: quale progetto? Ecco le prime illusioni! Si nasce e si muore, niente altro! Si vive e si cerca di vivere al meglio, con il dovere di sapere e conoscere. Ma quale progetto!

Edoardo: in effetti, Paolo, stai introducendo qualcosa che è della fede. Qui come argomenti con la ragione?

Paolo: il primo punto che dovete considerare è che la prospettiva di essere in un progetto che è di Dio, è certamente un atto di fede, ma anche la vostra convinzione non ha certezze e si basa anch’essa su un atto di fede. Su cosa fondate la vostra convinzione che siamo semplicemente nati senza uno scopo se non quello di generare, come qualunque pianta e animale?

Manfredi: c’è la natura attorno a noi che è così. Se vuoi dire qualcosa di differente per l’uomo lo devi dimostrare, non puoi presupporlo! Per ora, sino a quando tu non mi dimostrerai che l’uomo non è semplicemente un animale, seppure evoluto, l’idea di appartenere ad un progetto superiore a quello meramente naturale, è un’altra illusione.

Edoardo: devi ammettere Paolo che a guardare il quotidiano, pochi esempi l’essere umano ci dà per poter dire che sia ben altro da un animale!

Paolo: non dimenticate, né sottovalutate quanto già vi ho detto riguardo al corto circuito che si crea tra l’uomo come animale evoluto e i danni recati al pianeta! Non si tratta soltanto di una evidente contrapposizione ed estraneità, un goffo e dannoso comportamento antinaturale, ma si tratta di una condizione che allude ad una soluzione che, -guarda un po’!- vorrebbe tornare indietro, ridimensionare il progresso, ridurne il procedere, se non addirittura fermarlo per non andare oltre. Ciò significa che si sta denunciando la totale eterogeneità tra natura e uomo-come-animale-evoluto e che il progresso, prodotto di questa evoluzione è in contrasto con la natura!

Manfredi: se ci fossimo lasciati guidare dalla scienza invece che dall’avidità e dall’interesse, non saremmo in queste condizioni! Sarebbe bastato ascoltare di più il mondo degli scienziati e ricercatori!

Edoardo: sono d’accordo. La gente avrebbe avuto una guida nell’uso della tecnologia, non quella suggerita dai propri meschini interessi, ma da una prospettiva più ampia, quella che ci avrebbe potuto fornire proprio la scienza. In pratica, avremmo vissuto nel benessere ugualmente, ma senza conseguenze di questo tipo.

Paolo: avete già dimenticato che è in nome della ricerca scientifica che si è incrementata la produzione agricola, trasformando il paesaggio naturale? Che si sono combattuti parassiti e batteri, con le conseguenze che sappiamo? avete già dimenticato tutti gli effetti collaterali all’atomica? Che ogni nuovo strumento tecnologico brucia energie? Che il processo d’industrializzazione, tutto ruotante sulla tecnologia, abbia inquinato il mondo? Avete dimenticato che gli incrementi più rilevanti della innovazione scientifica e tecnologica sono avvenuti in guerra e per la guerra? State assolutizzando la scienza, idealizzandola, destoricizzandola, come fosse qualcosa di perfetto e giusto.

Edoardo: ma nella pratica non abbiamo molte altre scelte!

Manfredi: senza dimenticare che in ogni caso ci fornisce certezze rispetto a tutte le altre forme di conoscenza!

Paolo: ma di quale certezza parli! Da più di mezzo secolo l’epistemologia scientifica è in crisi. L’induzione perfetta non esiste. Non puoi passare da un numero pure esteso di esperienze identiche e ripetibili all’universalità della legge. L’universale non è un quantitativo esteso, ma la qualità di un elemento. La certezza di cui parli è già da secoli semplicemente ciò che è statisticamente attendibile, è il prevedibile, il più possibile tra le altre possibilità.

Edoardo: spiegami questa cosa. Non la conosco.

Paolo: come ricordava il compianto Paolo Rossi, per qualunque ipotesi scientifica, “non si ha fedeltà o infedeltà alla natura. Si ha solo e sempre una teoria contro una teoria. Si è in realtà disponibili a vedere o a non-vedere sulla base di uno “stile di pensiero”: il cosiddetto fatto scientifico è necessariamente legato ad uno stile di pensiero e dipende da esso”[2]. Sarebbe il caso, ormai, di chiarire che non si tratta, per lo scienziato, di scoprire le leggi della natura, come se l’ego-conoscente sia assoggettasse (sub-jectum) all’alterità di un reale che gli fornisce dati da elaborare concettualmente. Non si tratta di un progresso teso all’”avvicinamento alla verità”, giacché per poter fare un’affermazione del genere, dovremmo conoscere come stiano davvero le cose, cioè conoscere la natura prima ancora di conoscerla! Ma è precisamente questo ciò che ignoriamo ed è per tale motivo che avanziamo ipotesi e teorie scientifiche.

Edoardo: allora la scienza non conosce la natura, in senso stretto?!

Paolo: devo ricordare ancora una riflessione di Paolo Rossi. Infatti, gli esperimenti, con la loro base empirica, non sono evidenti come ingenuamente si crede: «diventano evidenti quando si è in qualche modo in grado di anticiparne il risultato: diventano sempre più evidenti in quanto vengono, per così dire, “trascinati” dal sistema degli esperimenti precedenti e delle precedenti decisioni»[3].

Edoardo: ma non è l’esperienza dei fenomeni alla base della scienza?

Paolo: credo sia opportuno ricordare quel pensiero di Werner Heisenberg, che «una sera –come scriveva in Fisica e oltre- mi tornarono improvvisamente alla mente le parole di Einstein: E' la teoria a decidere che cosa possiamo osservare». Non si parte dall’esperienza, come aveva insegnato Aristotele e il successivo metodo sperimentale! Si parte da una ipotesi del pensiero che va a selezionare cosa e come sperimentare!

Edoardo: è per questo che non possiamo dire di conoscere la natura…

Paolo: per poter dire di conoscerla dovremmo confrontare ciò che diciamo di essa con ciò che la natura è in sé. Ma precisamente questa “natura in sé” ignoriamo. Dunque conosciamo gli alfabeti (fisici, chimici, matematici, ecc.) che utilizziamo, ma l’oggetto di conoscenza è sempre altro da ciò che di esso diciamo. In questo, ricordate?, aveva ragione Vico.

Edoardo: mi stai disorientando! Anche la scienza è relativa?

Paolo: certamente! Come ogni prodotto storico! A meno che diate al linguaggio matematico un valore universale, cioè sovrastorico, assoluto, come credo debba essere. Dunque metafisico. Una sorta di linguaggio “celeste” di cui siamo partecipi. E non sarebbe un’eresia! Certamente, la matematica non viene dall’esperienza!

Manfredi: è una forma mentis umana… un modo tutto umano di ordinare il mondo. Ecco perché l’uomo è un animale evoluto!

Paolo: ma quando mi dici che è una forma mentisumana, innata, e poi la ratifichi come prodotto dell’evoluzione, non ti accorgi che c’è una disfasia, un intoppo teoretico? Se è innata e l’uomo è evoluto animalmente, la matematica dovrebbe essere “naturale”, un surplus che la natura produce. E se è innata, o c’è o non c’è sin dalle origini: non viene con il tempo, per evoluzione, altrimenti non sarebbe innata. Se allora la ipotizzo sin dall’inizio, ecco! È proprio qui che già stabiliamo una linea di demarcazione qualitativa tra uomo e animale: la matematica è un linguaggio non naturale, di cui tutta la natura fa a meno. Che poi ci siano animali che sappiano contare…andiamoci piano! Per mera associazione possiamo farli arrivare sino a un certo punto, limitato secondo la specie di cui parliamo, ma anche se educato per decenni, nessun animale, capirà un integrale o svolgerà un’equazione! E senza il nostro input addestrativo, a nessun animale verrà in mente di fare calcoli.

Edoardo: e allora?

Manfredi: ma non è ascrivibile al pensiero, come facoltà evoluta, la possibilità di produrre numeri?

Paolo: ma se ti ho appena detto che se fosse prodotto di evoluzione non sarebbe spiegabile il suo innatismo! Quando ha cominciato ad essere innato il linguaggio matematico? Vuoi forse ancorare la sua nascita a motivi pratici? Economici? Ma questo, tutt’al più sarebbe una descrizione del fenomeno, sul piano sociale, storico, culturale, ma niente direbbe di una qualità che se prodotta, da qualcuno o da qualcosa deve provenire. E se proviene dall’uomo, gli è innata e, di conseguenza, non scaturisce dall’evoluzione. Quest’ultima, semmai, ha sollecitato sempre più il suo uso, ma non ne costituisce l’origine.

Manfredi: la vita umana è semplicemente più complessa di quella animale essendoci nel cervello umano reazioni biochimiche incredibilmente potenti, capaci di creare il pensiero così come lo conosciamo. Ora, sono possibili due spiegazioni: 1) non vi è alcuna domanda, questa è solo una suggestione creata dagli effetti della biochimica; oppure, 2) la domanda ha una sola risposta, appunto gli effetti biochimici.

Paolo: e tu pensi di aver spiegato tutto descrivendomi semplicemente le cause? E per quale motivo le tue reazioni biochimiche, ad esempio, danno risultati opposti ai miei? Se parli di reazioni biochimiche, come ad esempio nei fenomeni della paura o del pianto o del sonno, queste reazioni, pur con piccole varianti, sono identiche in tutti, persino in animali e piante rispetto a noi, con le dovute adeguazioni di specie. Per quale recondito motivo, in questo caso, non avverrebbe la medesima fenomenologia e gli stessi risultati?

Manfredi: la complessità del cervello umano è tale da poter dare diverse vie d’uscita al problema e altrettante risposte!

Paolo: prima di argomentare su quanto hai appena affermato, mi viene subito per te una domanda provocatoria! Ma se per le medesime reazioni biochimiche del nostro cervello tu dai la risposta A e io invece propongo la risposta B, per quale motivo la tua dovrebbe arrogarsi il diritto di giudicare la mia? Non sono paritarie? E se lo sono, perché io non posso fare altrettanto della tua? Come vedi, la presunta superiorità della scienza viene drasticamente ridimensionata precisamente dalle tue convinzioni sulle reazioni biochimiche del cervello umano! A meno che tu non voglia, in modo del tutto ideologico e dogmatico, presumere che le tue reazioni siano superiori alle mie!

Manfredi: a livello di pratica però hanno una differente utilità e concretezza!

Paolo: dunque l’utile e il concreto sono da te eletti, arbitrariamente, come punti di riferimento! Porsi il senso della vita è una reazione biochimica di scarso valore!

Edoardo: beh, comunque dobbiamo pur vivere su questa terra!

Paolo: e il problema del senso di questa vita ti pare una domanda superflua? quindi basta allinearci alla vita di un qualunque altro organismo! Sopravvivere al meglio! Questo il nostro scopo? Mi viene in testa una dura affermazione di Hegel, che diceva degli uomini che non sollevano la testa oltre il livello animale, che conducono la loro esistenza ad “appagarsi, come i vermi, di polvere e d’acqua”[4]. Non ti accontentare di descrivere come avvenga un fatto. Chiediti il perché.

Manfredi: . Il perché non esiste ed è esiziale anche il solo porlo. Tutt’al più grazie alla tecnologia, o alla scienza avremo una risposta universale in un futuro più o meno vicino o lontano.

Paolo: torni ad assolutizzare la scienza, scardinandola dalle sue radici storiche e dunque precarie e, in più, non ti accorgi che le risposte della scienza sono ipotesi, tutte umane, la cui oggettività è tale perché a noi va bene così, così ci serve che sia, cioè, conforme all’alfabeto matematico che abbiamo imposto alla conoscenza, ma che non significa che la realtà sia davvero così! Dunque, di quale universalità parli? Di quella autoreferente della matematica! Ma questa già è universale! Ma che la vestizione, per dir così, di ogni problema di natura o esistenziale mediante il vestito dei numeri sia la strada del vero, è scelta del tutto opinabile.

Manfredi: a me dà più certezze!

Paolo: e se queste certezze fossero davvero tali come fai a parlare di cambiamenti nel tempo, di progresso scientifico? Quelle certezze non dovrebbero autorizzarci a fermarci una volta per sempre e godere di ciò che abbiamo così certo e tangibile?!

Manfredi: è quello che il tuo pensiero definisce consistenzialismo?

Paolo: proprio così. Le certezze che hai hanno meno consistenza di quelle che, assenti, vai cercando! Non ti metteresti alla ricerca se non fosse così. Non avresti progresso se non fosse così. La consistenza di ciò che avverti come mancante, assente, è più incidente e forte della consistenza delle certezze che dici di avere.

Edoardo: cerchiamo di non allontanarci troppo dai problemi iniziali che ci hanno fatto qui dialogare. Tutto questo che stai dicendo, Paolo, cosa c’entra con Dio, la religione e tutto ciò che vi ruota attorno?


Paolo: tu, Edoardo, vuoi una spiegazione, qualcosa che poi possa appartenere al tuo sapere. Ma se usiamo insieme l’intelligenza mettendo per un poco da parte la ragione, la domanda che dovremmo farci è, semplicemente, “perché”? Perché la matematica, la scienza, la necessità irrefrenabile di calcolare, ordinare, legiferare, certificare? Perché? Ne hanno bisogni animali e piante? Hanno bisogno di far nascere una facoltà che possa permetter loro di risolvere quesiti di sopravvivenza? O non piuttosto, questi quesiti nascono perché il pensiero c’è già, innato anch’esso, specifico dell’uomo e, come già in diversi esempi che vi ho portato, del tutto estraneo al corso della natura, né da essa proveniente, come qualsiasi elemento innato. L’innato in natura è l’istinto, cioè la risposta immediata che la natura fornisce per la soluzione di problemi che si affacciano nella vita. E questo vale per animali e piante. Puoi forse definire la matematica o il pensiero stesso un istinto?

Manfredi: è una sorta di istinto superiore.

Paolo: superiore a cosa? E se fosse istinto, perché devi faticare decenni sui libri per imparare la complessità dei numeri? E se fosse istinto, come mai c’è una storia della scienza? Apprendimento dopo apprendimento? Forse è un istinto che non si affaccia così naturalmente in ogni uomo? E ha bisogno di rigore, fatica, riflessione…altro che istinto! E la sua superiorità non è riferibile al campo naturale, perché non amplifica la nostra animalità, la nostra naturalità, anzi, la mette in discussione, la fa oggetto di manipolazioni, sino ai rischi ecologici che stiamo vivendo.

Edoardo: e quale dovrebbe essere allora l’origine della matematica?

Paolo: ma non solo della matematica o, se vuoi, della scienza in generale, ma anche di tante altre manifestazioni solo umane, non naturali, che ci rendono differenti, ma non per complessità quantitativa, cioè evolutiva, ma per qualità.

Manfredi: e sarebbero?

Paolo: se osservi lo specifico dell’uomo soltanto nella prospettiva del suo progresso sentendoti giustificato nel definirlo “animale evoluto”, devi ammettere che ci sono stati e ci sono tuttora milioni di esseri umani che non conoscono il progresso, né praticano le tecnologie che esso ha portato a tutti. Per non parlare di popolazioni che consciamente e lucidamente hanno rifiutato il progresso, preferendo, ad esempio, la luce di una candela all’energia elettrica…

Edoardo: e…

Paolo: e potete forse definirli non uomini o meno uomini perché non segnati dal progresso?

Edoardo: certamente no.

Paolo: credo che anche tu, Manfredi, sia d’accordo.

Manfredi: sì, certo, sono uomini indipendentemente dall’aver vissuto o accettato il progresso scientifico.

Paolo: ma ciò significa che non è il progresso ciò che caratterizza l’uomo, che lo distingue dall’animale, che lo segna nella sua profonda differenza.

Edoardo: così torniamo al tema del pensiero…l’uomo ha questa facoltà indipendentemente dal suo rapporto con il progresso.

Paolo: no, continui a girare intorno al problema, in modo tautologico, come ogni apparentemente indiscutibile base di ipotesi scientifica, preaccettata per poi essere fittiziamente dimostrata. Perché si è uomini? Perché si è animali con il pensiero! E perché si ha il pensiero? Perché si è uomini, cioè animali evoluti! Un gioco di specchi che non dice nulla. Come nell’ipotesi evoluzionista: sopravvive il più forte. E chi è il più forte? Quello che sopravvive. Né vale descrivere in dettaglio le azioni di questo adattamento del più forte.

Manfredi: tautologico o meno, è così!

Paolo: ma, ad esempio, perché non ci si chiede quale sia il motivo per cui certe specie “preferiscano” estinguersi piuttosto che trovare nuove strategie di adattamento? E altre invece, anche meno complesse e “intelligenti”, che hanno trovato la via dell’adattamento che le farà sopravvivere? Cosa c’è? Qualche specie ha “capito” e qualche altra, magari distratta, non si è accorta che stava scomparendo dalla faccia del pianeta?

Edoardo: quanta ironia Paolo! Però, è vero, che molte domande restino ancora aperte con l’evoluzionismo. Questo, sì, è vero.

Paolo: ma non si tratta di anelli mancanti, come spesso viene ricordato. Si tratta di altra qualità! Se ci pensate, il paradosso sarebbe che tra milioni di anni anche il verme che sta nel tuo giardino, scalerà la vetta ardua e complessa della evoluzione e che, se troverà le giuste condizioni, lo farà giungere ad essere un uomo! Ma non vedete come è adolescenziale questa visione? Antropocentrica nell’essenza, formalmente egalitaria nel definire l’uomo animale tra animali. Ma in realtà tutto converge verso l’uomo, come fosse il vertice della natura!

Manfredi: ma quale sarebbe allora la spiegazione?!

Paolo: ma se tutto converge verso l’uomo, vuol dire che l’uomo è la più compiuta e completa manifestazione dell’animalità, la più conforme e diretta espressione della natura! Vi pare che sia davvero così? O non piuttosto che l’uomo è una goffa e, -se non illuminata-, dannosa e pericolosa scheggia impazzita all’interno di quello che comunemente definiamo “natura”?

Edoardo: e il motivo?

Paolo: proprio quello di aver preso l’animalità come modello e averlo esasperato! Non riconoscendosi altro dall’animale, ne ha voluto imitare, -osservando il vasto orizzonte delle diverse qualità delle specie-, gli specifici qualitativi: correre di più, volare, nuotare, solcare le onde, emettere onde e intercettarle, armarsi per la difesa del territorio, escludere ogni straniero, badare solo al proprio benessere e così via. Avesse sin dall’inizio compreso la sua estraneità alla natura, l’avrebbe rispettata come non sua, gli animali come specie non in competizione: insomma si sarebbe educato a vivere in una casa che non è sua, comportandosi di conseguenza.

Edoardo: vuoi dire che proprio l’evoluzionismo, prima implicito e inconsapevole, poi come ipotesi scientifica, avrebbe spinto l’uomo a questo scempio?

Paolo: cosa faresti tu, animale fra animali, se non amplificare in quanto animale evoluto, le caratteristiche dell’animalità? Ti preoccupi degli altri organismi? Ti prodighi per la protezione dell’ambiente? Per la salvaguardia di specie in via di estinzione? Ma l’estinzione, ad esempio, non è un fatto naturale? Non è avvenuto già prima ancora dell’intervento dell’uomo? E allora se oggi diventa qualcosa da evitare, una sorta di colpa indiretta o diretta all’agire umano, ciò significa che non la si considera più “naturale” perché provocata dall’uomo. Ma, vi chiedo, l’uomo in quanto animale, non fa parte di questo “gioco” naturale della lotta alla sopravvivenza? Se qualche specie va estinguendosi, non fa parte di quell’ipotesi evoluzionistica, per cui non avendo la forza di adattarsi, deve naturalmente sparire dall’orizzonte della natura?

Edoardo: paradossalmente allora, certe specie che oggi vogliamo salvaguardare a ogni costo, le salvaguardiamo contro le leggi di natura che le vorrebbero cancellare!

Paolo: esattamente! Non vedete che anche quanto spacciamo per naturale è intriso di antropocentrismo?

Edoardo: e anche se fosse l’uomo a determinare questo pericolo di estinzione, essendo animale e dunque natura, non dovremmo accettare ugualmente la sparizione di certe specie?

Paolo: mi congratulo con te Edoardo! È proprio così! Perché mai se siamo animali evoluti certi effetti sull’animalità altrui dovrebbero essere corretti? In nome di quale riferimento? Se stanno in via di estinzione, questa e solo questa è la legge naturale alla quale, tutti dicono, apparteniamo! Correggere la parabola della loro esistenza su questa terra significa imporre la prospettiva umana su quella naturale, giacché se avessimo accettato la seconda, quella naturale, quella specie in pericolo è destinata a estinguersi!

Manfredi: vorrei sapere dove vai a concludere.

Paolo: se abbiamo visto non soltanto il progresso non caratterizza l’uomo, ma avendo l’animalità come suo modello, reca addirittura danni, cosa può allora definire lo specifico umano?

Edoardo: e dobbiamo escludere il pensiero, se ho ben capito!

Paolo: esattamente, perché è solo un’etichetta alla differenza, senza che ne sia spiegato il perché e, dopo quanto detto, anche il come.

Edoardo: certo, perché anch’esso estraneo, come dici tu, alle modalità della natura! Almeno a vedere quello che ha prodotto!

Paolo: ciò che caratterizza l’uomo è precisamente ciò che non è naturale, ciò che in natura non soltanto non esiste, ma sarebbe del tutto inutile o dannoso per definizione.

Manfredi: ad esempio?

Paolo: la libertà, intanto, che in natura provocherebbe comportamenti così individuali da “rompere” qualunque legge di natura, qualunque prevedibile comportamento animale e vegetale. E alla libertà connetti tutto, ma ad esempio, qui, il problema del bene e del male, del tutto assente in natura e per noi così decisivo! L’animale, infatti, è costretto a fare ciò che fa dal proprio essere e dunque è “al di là del bene e del male”: non esistono animali buoni o cattivi perché non hanno scelta nel loro esser così! Tralasciando di riflettere ulteriormente sull’arte, ad esempio, sulla scienza, sulla religione e altre manifestazioni innaturali dell’uomo, vi basti pensare a qualcosa che è sulla bocca di tutti e sulla quale non si riflette mai abbastanza!

Edoardo: cioè? Cosa?

Paolo: l’amore non è naturale. La natura esiste da milioni di anni in vita e vive benissimo senza amore. E non confondete affezione, gregarismo o sentimenti analoghi a quello che è l’amore. L’amore tanto è tale quanto è capace di staccarsi dalle scorie naturali, come il sospetto, la paura dell’altro, il pensare a sé, il senso di difesa, l’attaccamento al proprio, ecc. E c’è una fede religiosa, proprio quella cristiana, che testimonia che Dio si è “scomodato” per svelarci come la pietra angolare della vita, che Dio stesso e che tutto dovrebbe essere “amore”. Se Dio è amore, vuol dire che le radici dell’amore sono sovrannaturali e se fosse stato così naturale, non ci sarebbe stato bisogno di un Redentore. L’amore non è naturale.

Edoardo: e cosa è?

Paolo: è sovrannaturale, è uno spiraglio che si apre sul trascendente, sull’oggettivo che fonda e precede ogni particolare, su un assoluto potenzialmente innato nell’uomo che può accettarlo e viverlo nel suo relativo, ma che non ha i limiti e i confini che gli assegniamo noi. L’amore va ben oltre le nostre capacità di amare. E ora vi chiedo: se potevamo parlare di uomini anche senza progresso, possiamo parlare di uomini, se non c’è libertà, morale, arte, scienza, religione, amore?

Edoardo: in effetti, no.

Paolo: ma quegli aspetti appena ricordati, sono precisamente ciò che non esiste in natura, che la natura non prevede quale proprio sviluppo evolutivo! La libertà non è un’evoluzione della necessità! L’amore non è una conquista evolutiva dell’egoismo! Si tratta di un salto di qualità, non di una continuità più complessa, perché questa complessità non è fedele, né consona, né utile alla natura! E ora possiamo tornare al quesito iniziale.

Edoardo: che Dio sia un’illusione e la religione l’oppio dei popoli?

Paolo: precisamente!

Manfredi: vuoi dirci che questi elementi sovrannaturali, innati, definiscono l’uomo essenzialmente come homo religiosus?

Paolo: hai perfettamente compreso. Quando si parla di domanda religiosa innata, non si vuole intendere un contenuto religioso, ma la constatazione che ciò che ci definisce tutti non è l’appartenenza alla natura, ad una sua presunta illusoria amplificazione, ad un suo presunto incremento perfettivo, ma proprio nell’avvertire la pochezza delle risposte naturali, con la necessità di “creare” un’alternativa alla natura e alla sua inefficienza. Noi ci scopriamo nudi, incapaci naturalmente e se non ci dessimo da fare a crearci le condizioni del nostro vivere, saremmo condannati all’estinzione. E allora capite che quel pensiero di cui si parlava è un quid che non appartiene alle modalità naturali, ma proprio all’opposto, a rilevare e risolvere le insufficienze naturali, le mancate risposte, le sue inadempienze rispetto alle nostre aspettative umane.

Manfredi: certo si tratta di una posizione integralista, difficile da accettare, soprattutto oggi in una società così secolarizzata!

Paolo: è vero. Ma sappiamo tutti molto bene come si comporta la cultura dominante, con il suo terrorismo democratico, dove basta una definizione ad hoc per stroncarti ed etichettarti e, col passa parola di superficie, essere ormai out da ogni serio confronto. Invece di approfondire, evitano accuratamente il problema e non sanno più spiegare, ma solo descrivere e definire, facendoci accontentare del nulla. Ribadisco, invece, che l’essenza dell’uomo è anfibia, metafisica, connubio deflagrante di finito e infinito.

Edoardo: dacci un esempio concreto, se è possibile!

Paolo: bene. Immaginate di dover tracciare una linea di demarcazione fra l’ultimo stadio animale e il primo stadio umano. Cioè, stabilire il discriminante che possa permetterci, senza alcun dubbio, che quella scimmia è ormai una ex scimmia ed è diventata un uomo. Tutto dipende, ovviamente, dal criterio che viene assunto. Se si continua a prendere un criterio animale, allora ecco le solite spiegazioni: statura eretta, ovvero pollice opponibile ovvero capacità di costruire e usare strumenti ovvero la ragione come facoltà superiore, ecc. Anche qui, ciò che si presume vero è poi fittiziamente dimostrato come vero! Il solito gioco già denunciato dal grande Witttgenstein.

Manfredi: allora, quale altro criterio si può prendere?

Paolo: quello emerso da ciò che definisce davvero l’uomo! Ecco l’esempio: immaginate che ci venga riferito che in un’isola remota certi esploratori abbiano individuato alcuni esemplari di scimmie antropomorfe, alcune delle quali sembra abbiano varcato la “fatal soglia” e siano approdate alla nostra specie! Insomma, sembrano avere le caratteristiche dell’uomo, non più della scimmia! Le notizie sono confuse e noi dobbiamo chiarirle! Come fare a riconoscerle? Come distinguere una scimmia da una ex scimmia, cioè da un uomo?

Edoardo: sono proprio curioso di sapere cosa vuoi proporci!

Paolo: a un certo punto vediamo due scimmie in una radura. Sono identiche: cioè, non possiamo distinguere niente, sul piano fisico, che possa autorizzarci a parlare di umanità. A un certo punto sopraggiunge un predatore. Una scimmia fugge e si rifugia su un albero. Vi chiedo: è un comportamento animale o umano?

Manfredi: è un comportamento sia umano che animale!

Edoardo: esatto! Lo fa l’animale, ma può farlo anche l’uomo!

Paolo: in altre parole non è possibile riconoscere se sia ancora una scimmia, o sia già un uomo. Anzi, a ben chiarire, perché parlare di “uomo” se, come detto, non c’è nulla che ci autorizzi a distinguerlo? È semplicemente un comportamento animale, da chiunque sia fatto!

Edoardo: e la seconda scimmia?

Paolo: la seconda scimmia s’inginocchia e prega. E viene divorata. Dal punto di vista naturale, entro una prospettiva animale, questa scimmia è stupida, involuta, illusa, incompleta, non perfettamente compiuta come scimmia, come animale! Le sue reazioni biochimiche non hanno funzionato a dovere! Ma noi non abbiamo alcun dubbio! È un uomo e non abbiamo neppure bisogno di consultarci!

Edoardo: ti confesso che stai mettendomi in crisi.

Paolo: la seconda scimmia non è più evoluta della prima che è, invece, perfettamente adattata e completa, come del resto qualsiasi animale rispetto a noi! La seconda si connota perché sta respingendo possibili risposte naturali volgendosi a qualcosa che non si vede, che non c’è in natura, ma che viene giudicato più adatto e significativo a rispondere al tragico momento che sta vivendo. È una precisa denuncia di un organismo che sta gridando, con la sua scelta silenziosa, la pochezza e le inadempienze delle risposte naturali. E questo, formalmente, significa trascendere la natura, richiedere risposte per definizione sovrannaturali. Ecco la domanda religiosa innata. Ecco la presenza di Dio, prima ancora di parlarne dal punto di vista storico. Come vedi Manfredi, non si tratta di spinte adolescenziali! Né di illusioni! È l’uomo. Semplicemente è la definizione di ogni uomo!

Manfredi: non posso nascondere che le tue argomentazioni abbiano un impatto da non trascurare! Effettivamente leggendo così l’uomo e la sua storia, Dio è sin dall’inizio, nella domanda, nella qualità diversa dell’uomo!

Paolo: precisamente.

Edoardo: e la storia sarebbe quell’indefinibile ventaglio di possibili risposte che cercano di adeguare la richiesta!

Paolo: liberamente indefinibili perché la qualità della domanda è infinita. E permette in tal modo a tutti in ogni tempo di dire o fare ciò in cui crede. Stando così le cose, la conclusione andrebbe rovesciata!

Edoardo: cosa vuoi dire?!

Manfredi: quale conclusione?

Paolo: la solita banale prevedibile affermazione che la religione sia “l’oppio dei popoli”. Tutto dipende dal punto di riferimento! Se prendete l’uomo come mero animale, condannato a combattere per la sua sopravvivenza, allora ciò che distrae da questa lotta, ammantata retoricamente dal termine “giustizia sociale”, non è che uno strumento in mano al potere, che gli permette di tacitare le masse, di passivizzarle, di stordirle con le illusioni della superstizione e del,la religione. Ma se il riferimento, come mi pare di aver evidenziato, è cercare una risposta sensata a uno squilibrio che ci segna rispetto a qualunque altro organismo naturale, ad un surplus qualitativo che niente ha a che fare con la natura e le sue modalità di esplicazione, allora è Marx e tutta la politica e le ideologie e ogni forma di ateismo o agnosticismo a rappresentare l’oppio dei popoli! Tutte forme indirizzate, più o meno consapevolmente, a distrarre l’uomo dal suo vero problema, un appagamento interiore, alle sue domande interiori, quelle che lo spingono alla ricerca, alla tensione verso il meglio, mai esaurito o esauribile. La cultura dominante, ogni atteggiamento antireligioso, ogni “valore” mondano, se non è ancorato a quella domanda trascendente che è in noi, è mero distraente, vero e proprio “oppio” per ogni popolo o individuo. Una droga che non deve e non vuole farci riflettere, che ci deve impegnare nel futile, nell’effimero, nella precarietà, che deve giustificare la ricerca continua dell’evasione, del divertimento, e così via.

Edoardo: è paradossale, sì, ma mi pare verosimile la tua riflessione.

Manfredi: voglio rifletterci, anche se devo ammettere che questa prospettiva inaspettata ha una sua forte credibilità.

Paolo: pensate a tutta la tortuosa via della burocrazia quotidiana, delle difficoltà sulle cose più banali (dalle sfibranti file alla posta, al traffico quotidiano sino all’aggiornamento su nuovi strumenti tecnologici, che non fai in tempo a conoscere bene che sono già quasi scomparsi dal mercato!) per non parlare della televisione e della sua programmazione, tutta tesa all’evasione, alla distrazione, al divertimento, anche demenziale. In questo contesto appaiono poi i flashes di sensi di colpa, di finto impegno, di sporadica attenzione a problemi che sono solo epigoni conclusivi di una prospettiva di fondo mai smascherata.

Edoardo: a cosa stai alludendo?

Paolo: la ricerca ora ossessionante del green, del sostenibile, della difesa degli animali quanto quella degli esseri umani, della salvaguardia del pianeta, della difesa della foresta amazzonica, polmone del pianeta, e così via, come se queste scelte scellerate fossero nate così, come funghi, e non fossero invece la conseguenza di una prospettiva sbagliata di fondo che, ritenendoci animali fra animali, ci ha dato l’alibi di comportarci con l’esclusivo fine del proprio benessere (come fa ogni animale e pianta!). e poi la fame nel mondo, il problema della siccità, la lotta alle malattie genetiche, alla tragedia dopo un terremoto e altro evento devastante naturale. Ma la retorica continua a parlarci di “madre natura”. Così, tanto sospettosi e critici se si parla di Dio, quanto bambocci acritici che accettano e credono in “madre natura”, la stessa delle malattie genetiche gravi, dei terremoti, delle eruzioni vulcaniche, dei tifoni e trombe d’aria, dei maremoti, delle valanghe, ecc. Ma su questa gente, che traccia ha lasciato la grande poesia di Leopardi e le sue profonde disillusioni per “madre natura”? Un grande che la scuola ha soffocato in qualche notizia biografica e nella banale definizione di “pessimista”.

Manfredi: dunque, per riassumere, ci hai argomentato sullo specifico umano che sarebbe quello squilibrio che nascerebbe, secondo i tuoi ragionamenti, dalla presenza nell’uomo di un qualcosa di divino, di infinito, che gli fa giudicare insufficiente la natura e lo spinge verso quello che si può definire cultura o storia o civiltà. È così?

Paolo: sì e la ragione a cui sempre hai alluso sa cogliere l’assenza, così l’uomo è spinto verso la mancanza molto più che accontentato e sedotto dalla presenza. Per questo motivo possiamo parlare di consistenzialismo, una consistenza che è più forte e sperimentabile di quella presente ai sensi, perché pur non comparendo, decide del nostro esser uomini.

Manfredi: e questo motiverebbe ogni ricerca umana, ogni evoluzione, cambiamento, progresso…

Paolo: precisamente.

Edoardo: quei cambiamenti, allora, intendo l’evoluzione o lo stesso progresso, non sarebbero in linea con la natura, ma scaturirebbero proprio da una sorta di estraneazione da essa! Una realtà alternativa a quella che la natura impone da milioni di anni! Allora, anche il bisogno di relazioni scaturirebbe da questo!

Paolo: proprio così. Soltanto l’ideologia dominante può far dimenticare che da quando l’uomo è sulla terra, la sua è stata una continua lotta contro gli elementi naturali, i suoi pericoli, le sue inadempienze. Soltanto l’ideologia dominante ignora che la cosiddetta “bellezza” della natura è quella che le assegna il nostro spirito, proprio con quella sua parte non naturale che, invece di cogliere l’utilità o il danno, la funzionalità o l’inutilità di un evento secondo le modalità naturali, la riveste di bellezza. La natura non è né bella né brutta, così come non è né buona né cattiva. Semplicemente è ciò che è. L’uomo esprime il suo giudizio e si comporta di conseguenza, cambiando, trasformando, adattando, neutralizzando, coltivando, allevando, utilizzando, purtroppo sfruttando ai propri fini ciò che la natura presenta.

Manfredi: dunque, in senso stretto, non si dovrebbe parlare di “bellezza naturale”?

Paolo: no! Non si dovrebbe reificare nella natura ciò che appartiene al nostro spirito. Pensateci un attimo: l’universo, il cosmo tutto, conosciuto e non, nella sua vastità incalcolabile, immensa, indefinibile, smisurata è tutto e del tutto indifferente. Scorre senza senso se non svolgendo i processi che noi potremmo matematizzare con la fisica, ma che in se stessi ignorano leggi e ordine e procedono ciecamente. Ebbene, questa sterminata indifferenza trova anche solo in una mano che lasci la sua impronta sul fondo di una grotta, un riferimento che dà ordine e gerarchia di valori. In questo immenso cosmo c’è un piccolissimo, microscopico, fugacissimo ente che, nell’arco di un soffio di anni, ha segnato di ordine e bellezza il tutto!

Edoardo: è vero!

Paolo: alle profonde radici dell’essere, c’è un seme di qualità del tutto differente che fa di questo piccolissimo ente che è l’uomo una creatura nobile, che dovrebbe onorare il creato e non mettere il proprio genio al servizio dell’animalità egoistica e del proprio conseguente tornaconto.

Edoardo: penso che tu abbia ragione. In effetti, ad esempio, un tramonto non è che un evento che da sempre si ripete e che segna la differenza di vita fra organismi diurni e notturni. E per essi non è niente di più. Per noi, pur essendo evento consueto, non certamente eccezionale, diventa un qualcosa da ammirare, fotografare, dipingere, raccontare. È vero. Credo che tu abbia ragione. Noi riversiamo nella natura quell’elemento che in natura, in realtà, non esiste: la bellezza.

Paolo: se ci fosse in natura, perché non basta? Perché, ad esempio, l’arte? Perché la semplice necessità di fissare in una foto o in un video o su una tela o in versi ciò che è davanti a te? Perché ciò che la natura ti presenta è effimero, passeggero, precario e l’uomo aspira invece a qualcosa che superi il tempo e lo spazio, cioè la natura stessa, per restare fisso e immutabile, perenne, come quella sua parte non naturale, di cui ho parlato e che ho identificato con la domanda religiosa. Un paesaggio dipinto sopravvive a quello reale e a chi lo ha dipinto. Non muterà, non subirà i cambiamenti delle stagioni, la decadenza degli anni, la morte. Non c’è proprio nulla di naturale in un’opera d’arte. Ma che dico. In un qualunque umano disegno, anche in una pessima foto. Non resisteranno al tempo perché magari verranno gettate via, ma il motivo per cui sono state fatte non è naturale, ma anzi è quello di valicare il transeunte del divenire della natura. Come vedi Manfredi, la religione non distrae dalla vita, ma è la vita stessa dell’uomo che scaturisce dalla sua domanda.

Manfredi: certo che se viene posto così l’argomento, -e indubbiamente ha un suo fondamento-, cambia totalmente la prospettiva!

Paolo: la fede riguarda le religioni storiche. Quale di esse risponde compiutamente alla domanda? E questo, capite bene, toglie ogni relativismo, ogni equivalenza fra esse.

Manfredi: resta il problema del male Paolo. Non ne hai fatto cenno.

Paolo: è vero. Ne dobbiamo parlare.

Edoardo: non è solo il problema del male. È il legame tra Dio e il male. Perché il male se c’è Dio? E Dio perché lo permette? Insomma non devi darci una spiegazione teorica, una delle tante, ma vorrei e penso che anche Manfredi voglia che non si abbandoni il terreno della fede in Dio.

Manfredi: sono d’accordo con Edoardo.

Paolo: “Beati loro – mi disse una volta un mio amico, riferendosi ai nostri cani – non si fanno alcun problema, si annusano e se si piacciono provano ad accoppiarsi, senza se e senza ma”. Poi mi aggiunse che i cani sono migliori degli uomini, perché non fingono e sono fedeli. È una valutazione molto diffusa questa, che nasconde quanto superficialmente venga affrontato il tema del bene e del male.

Edoardo: sei partito alla lontana! Va bene. Perché superficiale? Spiegaci.

Paolo: ho già ricordato che in natura non esiste libertà: un cane non è libero di essere diversamente da ciò che è. Non finge non perché sia onesto e senza compromessi, ma semplicemente perché non ha scrupoli morali, non riflette sulle conseguenze, non anticipa il bene o il male che può derivare da una sua azione. La sua stessa fedeltà è un fatto istintivo, visto che è un animale di branco, un animale gregario, che elegge per così dire il suo capo e lo segue sino alla morte. Farebbe così anche con un cane capo branco, non soltanto con l’uomo. E proprio perché non ha alternative di libertà, non ha alcun merito, così come non ha alcuna colpa per ciò che fa. La sua non è libertà, ma la necessità di seguire il suo istinto, dovunque sia e con chiunque sia.

Manfredi: sì, ricordo, ci avevi detto che sono al di là del bene e del male.

Paolo: precisamente.

Edoardo: è vero. Ogni organismo naturale è ciò che è e non ha alcuna scelta di essere diversamente.

Paolo: la nostalgia di non essere compiutamente animali spesso attanaglia l’uomo che rimpiange di avere sovrastrutture morali, sociali, culturali e vorrebbe vivere in modo “naturista”, naÏf, “tornando alla natura” dove in realtà non è mai stato completamente se è un uomo! Esser uomini comporta problemi, responsabilità, impegni che l’animale non ha. Ecco ciò che attrae: una vita cosiddetta semplice, perché naturale, cioè animale. Dunque saremmo animali che rimpiangono uno stadio inferiore al proprio? O animali che riconoscendo una complessità inutile dal punto di vista animale-naturale dovrebbero invece riflettere sulla loro differenza e sulla origine di questa differenza!? Preferiamo il modello della bestia, perché più comodo, senza scrupoli morali, senza complicazioni, senza lo specifico complesso e difficile da realizzare, dell’esser uomo, immersi in una finta innocenza.

Edoardo: perché ci dici questo sul tema del bene e del male?

Paolo: perché intanto va considerato come questo tema sia un fardello pesante di cui vorremmo volentieri fare a meno, ma che invece è uno degli elementi specifici del nostro esser uomini. L’errore prospettico è quello di vedere l’animale con il suo comportamento e sovrapporgli l’umano con la sua libertà. L’esito è di una banalità sconcertante: se fossimo animali potremmo fare quello che vogliamo, senza inutili remore, così, “puri”, come gli animali, senza pudore come gli animali, senza inutili rimorsi come gli animali, senza altri scopi che il proprio star bene come gli animali, senza formalità e convenienza come gli animali, senza problemi come gli animali. Rivestiamo di libertà umana l’animalità che, ovviamente, non è libera. Così, da questo ibrido impossibile, diventiamo uomini che hanno preso come modello l’animalità! Un bel modello!

Manfredi: essere animali restando uomini! Anche io credo che sia un ibrido astratto, inesistente, lo stesso che ci fa dire di voler tornare alla natura. Ma se tornassimo alla natura, saremmo animali e non uomini.

Edoardo: una grande confusione.

Paolo: alimentata dalla retorica animalista, naturalista, che invece di farci riflettere sulle differenze, colpevolizza l’uomo celebrando la natura, senza chiedersi da dove provenga questa estraneità, una tale eterogeneità umana rispetto alla linearità naturale. Se fossimo figli della natura, come spiegarlo!?

Edoardo: da quello che ci hai detto l’umanità sorgerebbe precisamente nel momento in cui, per definizione, l’animalità e la natura sono giudicati insufficienti.

Manfredi: storia, cultura e civiltà ne sarebbero la risposta, se ho ben capito.

Edoardo: ma torniamo al tema del bene e del male…

Manfredi e di Dio di fronte al bene e al male.

Paolo: vi propongo due riferimenti entro i quali cercherò di chiarire con il vostro aiuto un tema così difficile. Il primo riferimento ce lo fornisce il libro della Sapienza, dove a un certo punto si legge: “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano: le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra. La giustizia infatti è immortale”. L’altro punto di riferimento ci viene dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi. Qui l’apostolo delle genti scrive: “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. […]. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte”.

Edoardo: vorremmo però una spiegazione non dogmatica, altrimenti vale solo per chi crede.

Manfredi: però, Edoardo, il presupposto di Paolo è corretto. Dopo averci argomentato sul fatto che la nostra umanità scaturisce dal prendere le distanze dalla natura e, se ho ben capito, ciò significa già trascenderla con quegli elementi indicati così specifici dell’uomo ma inesistenti nel mondo naturale, come fai adesso a escludere la prospettiva religiosa? O lo fai nei presupposti o diventa un’esclusione del tutto arbitraria e ideologica. Per ora, credo, accettiamo il ragionamento. Poi se necessario ritorneremo ai presupposti eventualmente da contestare.

Edoardo: d’accordo.

Paolo: per quello che vi dicevo, dunque, la sintesi compiuta del male è la morte. Essa è nulla, nientificazione, toglimento di ogni senso, di ogni azione o sentimento, di ogni pensiero o emozione. Noi l’abbiamo reificata proprio mediante ciò che ho chiamato consistenzialismo, cioè le abbiamo dato una consistenza, ma essa, in sé, davvero non ha consistenza per definizione. Non è. Questo il suo insensato togliere tutto. È il male per eccellenza.

Manfredi: hai già detto tutto allora! Non ci hai ricordato che la morte non fu voluta da Dio e che è stata causata dal peccato?

Edoardo: ma cosa vuol dire questo!? Non usate queste affermazioni clericali che non chiariscono nulla! Cosa vuol dire che la morte è stata causata dal peccato!? Quale peccato?! Di cosa state parlando?

Paolo: di quello che per molti è pura fantasia, cioè del peccato originale. Togliete da questo concetto ogni elemento strettamente religioso e cerchiamo di analizzarlo soltanto attraverso la riflessione filosofica. Cosa significa peccato originale?

Edoardo: ce lo stai chiedendo? La tua è una domanda?

Paolo: in un certo qual modo sì. Vorrei che ci pensaste per un poco. Cosa significa parlare di peccato originale?

Manfredi: ma non è legato ad un mito? Al mito della Genesi? È un mito, un tentativo di spiegazione, non un fatto reale.

Edoardo: non possiamo credere che tu creda in Adamo ed Eva!

Manfredi: non ci deludere!

Paolo: ogni mito, come sapete, viene definito eziologico, cioè fondativo, in quanto appartenendo ad una tradizione orale è pre-storia e dunque precedendola, fonda ogni aspetto della storia: divieti, clan, norme alimentari, tecniche di caccia o di pesca, motivazioni per le origini dell’universo, per l’origine degli animali e dell’uomo, dei nomi delle famiglie e delle tribù, degli antenati più lontani, in alcuni casi degli stessi dèi, della divisione dei sessi, delle leggi, dell’al di là, della propria stessa identità.

Edoardo: e allora?

Paolo: basterebbe la definizione di un docente autorevole come fu Angelo Brelich, ateo dichiarato, che così definì il mito: «riportando i fattori fondamentali della sua effettiva esistenza ai tempi delle origini in cui, in seguito ad un evento prodigioso e irripetibile, essi si sarebbero costituiti, la società dà un senso alle proprie condizioni e forme d’esistenza: i miti fondano le cose che non solo sono come sono, ma devono esser come sono, perché così sono diventate in quel lontano tempo in cui tutto si è deciso»[5].

Manfredi: cosa significa fondare?! Che ne è la causa?

Paolo: no! Che ne è il significato. Se ad esempio la scienza descrive con cura e cataloga con rigore ogni aspetto della realtà fisica, il perché faccia questo, la scienza non può spiegarlo, perché non può spiegare se stessa e la ragione del suo sorgere. Qui potrebbe, dunque, -sto portando un possibile esempio-, intervenire il mito che mediante immagini anche non reali è tutto teso a chiarire il vero. Il mito non ha alcuna realtà, ma pretende di svelarci per immagini la verità. È stato così già con Platone.

Manfredi: dunque Adamo ed Eva non sono esistiti, ma sono figure che vorrebbero svelarci la verità?!

Paolo: esattamente!

Edoardo: quale verità?

Paolo: non c’è ne è una sola, ma per quello che ci riguarda, che è attinente il discorso che stiamo qui facendo, quel mito ci dice che il nascere come uomini, la nostra origine appunto, è segnata da una perdita: avevamo, non abbiamo più e ci mettiamo alla ricerca. Lo schema è quello dualistico di Platone e noi come eros, ἔρως, siamo figli della povertà della terra (adamah) con la ricchezza del soffio di Dio. È da questo ossimoro che nasce lo squilibrio di ogni uomo, legato alla terra, alla natura, ai suoi bisogni ineliminabili, finiti, limitati, ma con un’essenza sovrannaturale, eccedente, “celeste”.

Edoardo: davvero suggestivo…l’uomo è come l’eros platonico! In continua ricerca, ma senza mai pervenire alla meta!

Manfredi: ritornerebbe anche, sotto un’altra angolazione, la presenza in ogni uomo della domanda religiosa, religiosa, come dicevi, perché critica e distante da quanto impone la propria appartenenza alla natura!

Paolo: molto bene! Ci siamo intesi!

Edoardo: tutto il ventaglio delle possibili risposte che l’uomo cerca alle inadempienze della natura sarebbero dunque il riflesso di quel soffio di Dio di cui parla il libro della Genesi! È così?

Paolo: esattamente. Risposte senza approdo e dunque indefinite, quelle che hanno prodotto e produrranno cultura, civiltà e storia, microstorie e la grande storia che segna un’epoca. Allora capite che la libertà ha un senso ed è la facoltà del possibile, cioè dell’ulteriore o dell’altro. È segnata nel profondo dal trascendimento.

Edoardo: e tutto questo come lo colleghi al tema del male?

Paolo: intanto il riferimento alla libertà è connesso vitalmente al bene o al male. Non ricordate quanto si diceva degli animali? Che sono al di là del bene e del male perché non liberi?

Edoardo: sì, certo.

Paolo: la libertà si trascina come elemento a sé essenziale la responsabilità! Libertà e responsabilità sono un’unica realtà. Per questo motivo si è meritevoli o colpevoli. Non a caso, dal punto di vista giurisprudenziale, molti avvocati difensori, in un processo, provano la strada del “non essere in grado d’intendere e di volere”.

Edoardo: bene…vai avanti.

Paolo: quando si parla del peccato originale è come se si facesse questo ragionamento: se nasciamo con il desiderio di rincorrere altro da quanto la natura di per sé offre, allora ogni uomo ha in se stesso un vago ricordo o traccia o reminiscenza o anche oscura indicazione di una pienezza perduta che va a rincorrere nel tempo della sua esistenza. Non nasciamo a handicap rispetto agli animali e alle piante senza che ci sia stato un quid alle nostre spalle che ci abbia permesso il riconoscimento dell’assenza! Riconoscere l’assenza significa che essa non è il primum, altrimenti non potrei riconoscerla e l’assumerei come realtà effettiva. Da vivere e basta, non da problematizzare! Ciò che fanno piante e animali.

Manfredi: è quello che hai già definito consistenzialismo?

Paolo: sì, esatto.

Edoardo: l’assenza pesa più della presenza, come se la sua consistenza fosse superiore!

Paolo: grande! Hai colto perfettamente il significato!

Manfredi: è una consistenza così forte perché deriva da una pienezza invisibile ma presente al punto da orientare ogni uomo! Se non la presupponessimo, staremmo parlando di animali e piante, non del genere umano!

Paolo: benissimo! Ora che siamo sulla medesima lunghezza d’onda, possiamo affrontare il tema del male.

Edoardo: ascoltiamo.

Paolo: se il peccato dell’origine è il distacco dalla pienezza, il male appartiene al limite e soltanto a ciò che è limitato. Non può riguardare la pienezza!

Manfredi: insomma, un Dio del male è una contraddizione in termini?!

Paolo: precisamente! Come si fa ad assegnare l’errore, cioè la limitazione a chi, credenti o meno, in ogni caso va definito come perfetto? È proprio la limitazione che ci ha sedotto all’inizio, perché metteva in primo piano la propria individualità, il proprio ego, un particolare che, indebitamente, -ecco il male!-, è stato assolutizzato!

Manfredi: “all’inizio”…quando?

Paolo: non sappiamo. Ecco perché si cerca di spiegare con il mito e non con un ragionamento! È nella notte dei tempi. Ma anche qui soccorre il consistenzialismo. Infatti, se partissimo da un’ipotesi contraria, cosa avremmo? Che come siamo è normale, cioè secondo norma, e dunque dovremmo, tornando a quanto già si è detto, pensare a un errore di natura, ad un organismo continuamente frustrato da risposte che ogni volta l’uomo s’illude siano quelle giuste e che poi, poco dopo, deve giudicare anch’esse insufficienti!

Manfredi: questo toglierebbe via come problema quello relativo alla colpevolezza del bambino. Non c’entra la sua innocenza o meno. È l’esser uomo che lo segna. È così?

Edoardo: se ho capito, il peccato originale è una condizione che tutti dovrebbero avallare in quanto uomini: non siamo come vorremmo o come dovremmo essere e questo rincorrere, senza sosta, il nostro compimento, indica impietosamente, come a differenza di tutti gli altri organismi, l’uomo è costantemente incompiuto, consapevole d’imperfezione, d’impacciata presenza nel mondo naturale. In esso ogni uomo sta cercando una risposta appagante perché la natura non gliela ha offerta.

Paolo: ottimo. Questo versante, mi sembra, vi sia chiaro in modo completo. Ma il tema del male, in questo modo è già in larga misura illuminato, anche se, ovviamente, non risolto!

Edoardo: cioè? Cosa vuoi dire? Spiegaci!

Paolo: proprio il riferimento che abbiamo fatto al cosiddetto peccato dell’origine, ci fa comprendere che il male è l’assolutizzazione del particolare, quella che, come illusione, ha segnato l’uomo in quanto uomo rispetto a qualsiasi altro organismo. Si dividono dunque le strade: c’è la strada che abbiamo scelto, quella della generazione, della vita terrena, tutta dominata dal particolare omogeneo dove si lotta e si guerreggia affinché un particolare prevalga sugli altri, e la strada del progetto di Dio, della Creazione, rinnovato nella Redenzione, dove non c’è morte, cioè non c’è male. Noi uomini siamo stati creati e poi abbiamo scelto la strada dell’autonoma ri-creazione, cioè della generazione. Così come Dio è solo Creatore, gli angeli sono stati creati, ma non hanno scelto la generazione, e Gesù è stato generato, ma non creato. In Lui non c’è peccato originale semplicemente perché è nato in mezzo a noi non per un atto di separazione, di contrapposizione a Dio, ma per ridarci luce sulla strada da riprendere verso la compiutezza celeste.

Manfredi: per questo ci hai ricordato all’inizio, della morte come il più grande dei nemici, sintesi completa del male? In fondo, la morte è l’assolutizzazione del particolare, al punto che un particolare che si assolutizzi, a ben guardare, non può che essere non-essere, nulla, insignificanza.

Edoardo: ma Dio se volesse potrebbe aiutarci di fronte al male! Intervenire! Impedirlo! Perché non lo fa? Un bambino che muore o gente innocente che finisce sotto le macerie di un terremoto…che senso ha? Perché Dio non interviene? Per non parlare delle grandi tragedie come l’Olocausto!

Paolo: perché lo ha già fatto! Perché mai si è incarnato? Perché mai è passato attraverso il trionfo del male, il dolore lacerante e innocente, la morte infamante? Qualunque cosa ci capiti è stata redenta, non a chiacchiere, ma sulla propria pelle, perché risorgendo ci ha detto che c’è una vita eterna, che la speranza ha una base autorevole e certa, che fidandoci di Lui anche se moriremo, non moriremo in eterno, ma solo sul piano della generazione. Se Dio intervenisse ogni volta, non ci sarebbe stato bisogno di un Salvatore, di un Redentore e vana sarebbe stata la nostra libertà. Dio ci salva nella nostra libertà, non incidendo su di essa, ma in ciò che dannosamente e negativamente questa nostra libertà ha prodotto!

Manfredi: mi piacerebbe che approfondissi questo aspetto!

Paolo: tutto dipende dalla confusione tra generazione e creazione. È una confusione che fa anche la maggioranza dei preti. Noi siamo stati creati e poi, -ecco il peccato originale-, ci siamo contrapposti al Creatore con il piano della generazione. Quest’ultimo è quello dei genitori, delle relazioni parentali, della vita terrena. L’altro è il progetto di Dio, che non è soggetto alla storia e alla morte e non ha fine. È quella che Gesù richiamava quando diceva che chi crede in Lui, pur morendo non morirà! Non dimenticate, e ne faccio cenno per farvi capire che anche sul piano scientifico, sul piano genetico in particolare, siamo di fronte a qualcosa di misterioso e paradossale, che per ognuno di noi che è stato concepito, miliardi e miliardi di altre possibilità sono svanite per sempre e non torneranno più! E se fosse andato un altro spermatozoo a fecondare quell’ovulo, io non sarei stato diverso! Non sarei stato affatto! Sarebbe stata un’altra persona!

Manfredi: vai avanti!

Paolo: tutto ciò che avviene nella generazione è causato dall’accidentalità della natura e dall’uomo e dalla sua libertà ed è sotto sua responsabilità! Carneficine, omicidi, beneficienza filantropica, tragedia e morte non vanno ascritte a Dio! Non è Lui la causa delle dittature sanguinarie del Novecento, ad esempio! Troppo comodo! Vi chiedete, perché non è intervenuto? E che valore avrebbe avuto il sacrificio sulla croce di Gesù, Suo Figlio? Non è bastato per farci capire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato? Dovrebbe intervenire come se fossimo degli adolescenti che un padre corregge ogni volta che sbagliamo? La strada già c’è! La via verso il piano della creazione è stata tracciata. Il male è limite e appartiene solo al limite, cioè all’uomo. E alla solita domanda: perché il male nel mondo? Perché il male se c’è Dio? Non si vuole accettare la chiarificazione cristiana e si continua a ripetere stancamente, banalmente, prevedibilmente qualcosa che, già solo ponendolo come domanda, dovrebbe peraltro farci riflettere sulla nostra non animalità! Sullo scandalo che solo noi uomini, avendo libertà e morale possiamo porre! Domande che hanno una valenza celeste! Che sono risposta già nel porsi come domande!

Manfredi: quando parli di strada, di via, stai alludendo a Gesù Cristo?!

Paolo: di Chi ha accettato la nostra scelta della generazione, per cui è stato generato anche se Creatore, pur di condividere e caricare su di Sé, dentro il mondo, il male del mondo e illuminare per ogni uomo la via d’uscita, quella della salvezza!

Edoardo: ma cosa ha portato, in concreto, il sacrificio di Gesù Cristo? Gli uomini sono forse diventati migliori?

Manfredi: inoltre, come ti dicevamo all’inizio, pensare al proprio prossimo, essere solidali e pronti ad aiutare chi ha bisogno, lo può fare anche chi non crede! Non c’è bisogno di essere cristiani!

Paolo: si legge nel vangelo di Giovanni: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. Perché allora Gesù parla di “comandamento nuovo”? perché addirittura si diventa riconoscibili come Suoi discepoli, nell’amare secondo le Sue indicazioni?

Edoardo: ecco! Questo proprio non mi è chiaro!

Manfredi: non è affatto nuovo quel comandamento! Anche prima di Gesù l’uomo aveva saputo amare! L’uomo ha un bisogno innato di relazione! Per questo è stato definito un animale sociale!

Paolo: mi dovete scusare se devo indicare dei riferimenti tecnici un po’ complessi, ma credo sia importante. Amare è un’azione carica di diversi significati, anche se noi oggi li confondiamo spesso. Amare può definirsi in modi molto differenti: il verbo éraô, sostituito nei vangeli con l’altro verbo equivalente, epìthymeô, è l’eros, non quello platonico, ma quello che indica passione, desiderio, che semantizza ad esempio “erotico”. Poi c’è l’altro verbo, quello al quale voi state alludendo e che fa parte della solidarietà della specie. È il verbo philéô, che indica solidarietà, avere caro, affezione e che è radice di molti termini, a cominciare dalla philo-sophia, amore per la sapienza, dunque. È un amore di tipo affettivo, emozionale ed è quello che comunemente definiamo phil-antropia. Infine c’è il verbo a cui allude Gesù e che segna la differenza: agapàô. Qui l’amore è incondizionato, che non coinvolge soltanto l’elemento affettivo-emozionale, ma l’intera persona. Se per chi come voi è filantropico, l’amore per gli altri è orizzontale, storico, immanente: non dite proprio questo?

Edoardo: e allora?

Paolo: e allora, è un amore condannato alla conclusione, al relativo e, si badi bene, essendo un fatto solo storico è transeunte e reversibile, soggettivamente equivarrebbe anche al suo contrario. In altre parole se voi basate il vostro amore su elementi mobili come quelli storici, un altro può basare sugli stessi elementi un atteggiamento di odio. E in base a cosa potete stabilire una differenza, visto che, sul piano della particolarità storica, sono entrambe opinioni e opinabili? In questa prospettiva, di conseguenza, l’altro al quale riversiamo amore è un valore relativo, dunque interscambiabile e destinato ai mutamenti e alla morte.

Manfredi: credo di aver capito! Se Dio è amore, l’amore è un valore assoluto, universale perché non storico!

Paolo: precisamente! E l’altro è valore assoluto, non relativo.

Edoardo: cosa significa?!

Paolo: che tu sul piano storico puoi amare o non amare, in quanto fondi sull’orizzontale della precarietà questo amore. Come cristiani non si può non amare perché si tratta di un amore dove l’altro è un assoluto. Di qui potete comprendere anche il paradosso di amare il proprio nemico!

Manfredi: che mi dici dei rapporti tra religione e scienza? Come ci hai prospettato le cose non ci sono contrasti, ma soltanto piani diversi di lettura!

Paolo: è proprio così! Cosa c’entra parlare, ad esempio, di teoria creazionista o evoluzionista? Cosa c’entra paragonare il mito di Adamo ed Eva con la spiegazione scientifica? Spero che quanto sin qui abbiamo chiarito faccia piazza pulita di queste sciocchezze! Il libro della Genesi non ha pretese di spiegare come l’universo sia venuto fuori, ma di far comprendere il mistero della sua origine e il significato dell’armonia e dell’ordine che lo sorreggono e che deve continuare a destare meraviglia, al di là delle spiegazioni scientifiche! E che dal nulla, nulla viene fuori! E che Adamo ed Eva non siano esistiti lo confermerebbe un semplice pensiero: l’umanità sarebbe dunque scaturita da una serie interminabile di relazioni incestuose? L’ignoranza di molta parte del clero, come già denunciato dal beato Rosmini, ha fatto solo danni creando problemi che non esistono.

Edoardo: possiamo tornare all’argomento dell’amore? Ci sono cose che vorrei ancora capire.

Paolo: certo.

Edoardo: come spieghi l’atteggiamento della Chiesa sul divorzio, sull’aborto, sui matrimoni gay, sull’adozione di coppie gay, sulla maternità surrogata, ecc. insomma su tutti quei temi etici che coinvolgono direttamente o indirettamente una coppia?

Paolo: non m’interessa difendere le posizioni della Chiesa. Non dialogo con voi come portavoce dell’istituzione. Ogni cosa può essere affrontata con l’intelligenza del pensiero e sarà essa stessa a farci comprendere quando, ragionevolmente, dobbiamo affidarci ad un’altra facoltà, che è la fede, perché anche la fede è una facoltà conoscitiva. Se poi questo coincide con gli insegnamenti della Chiesa, ciò le darà maggiore credibilità, autorevolezza e fondamento.

Edoardo: dicci! Sono curioso!

Paolo: intanto proviamo a distinguere “persona” e “personalità”. La prima ci rende tutti di egual valore; la seconda ci rende tutti diversi gli uni dagli altri e irripetibili. Dunque, la persona è la costante, la personalità è l’insieme delle variabili.

Edoardo: questo mi sembra chiaro e verosimile.

Paolo: appena un elemento o più elementi delle variabili della personalità vengono assunte come essenziali alla definizione della persona, abbiamo il razzismo.

Manfredi: ma come definisci la persona?

Paolo: per evitare di introdurre qualunque elemento che faccia già parte delle variabili, la persona è il concepito da un uomo e da una donna. Qualunque altra definizione introdurrebbe surrettiziamente elementi razzistici, prelevati arbitrariamente tra le variabili e ritenuti essenziali alla definizione della persona soltanto per una scelta prospettica di tipo ideologico, soggettiva e dunque opinabile.

Edoardo: prova a esemplificare.

Paolo: un assassino è una persona dalla personalità pericolosa e dunque bisogna agire sulla personalità, perché la persona è sacra e inviolabile. Un embrione è una persona senza personalità sviluppata, ma resta una persona. Un gay è una persona con personalità da omosessuale. Posso criticare la sua variabile della personalità, ma come persona resta sacra e inviolabile. E così via. Nessuno perde il suo sacro statuto di persona per elementi pure abominevoli della sua personalità, come può essere per un serial killer o per un pedofilo. Basti pensare, per quest’ultimo caso, che in altri tempi era del tutto ammesso. Più variabile di così!

Edoardo: quella tra persona e personalità è una differenziazione che chiarisce molto, in effetti.

Paolo: sì, perché senza dire niente relativamente all’insegnamento della Chiesa o della morale, ma per semplice riflessione, già il suicidio, la pena di morte, l’eutanasia o l’aborto trovano, credo, una definitiva valutazione. Poi, chiaramente, pur sapendo e capendo, ognuno resta libero di scegliere ciò che vuole.

Edoardo: e per il resto?

Paolo: per l’omosessualità va semplicemente fatto un rilievo: se la cosa importante è stare con l’altro, in questo caso, l’altro non supera la sfera dell’alter-ego. È un’alterità anceps, manchevole, deficitaria, incompleta, approssimativa, tanto più poi che, nell’intimità, quella differenza così ignorata e messa da parte, deve essere ripristinata: sessualmente si ameranno come un uomo e una donna, anche se appartengono allo stesso sesso. Uno dei due o delle due dovrà scimmiottare o, se volete, goffamente sostituire e imitare, quell’eteros inizialmente rinnegato. Non credo sia una relazione compiuta quella che si lega all’altro per approssimazione: manca precisamente l’altro nel suo valore di altro!

Manfredi: è interessante che tu non ne faccia una questione morale o religiosa!

Paolo: la morale non è accettabile se non risponde al placet della riflessione. Non può essere qualcosa che si cala da fuori e senza una ragione.

Edoardo: non avevo mai sentito un pensiero di questo genere sulla omosessualità! Non ricorda il mito di Narciso?

Paolo: hai centrato il problema! Scegliere di stare con l’altro perché ha molto di simile a me è omosessualità, anche se la coppia è eterosessuale. Non è soltanto la punta dell’iceberg che si deve considerare, l’omosessualità comunemente intesa, ma la motivazione che spinge a quel tipo di rapporto: o l’altro è il mio fine e, dunque, deve essere altro sino in fondo, o dietro l’altro ci sono io, per cui egli è scelto in quanto mi è simile. Che questa somiglianza sia sessuale o psicologico-culturale-emozionale-caratteriale, a me pare un fatto secondario. Non si può scegliere l’altro in base a se stessi. L’omosessualità è una tentazione anche degli eterosessuali.

Manfredi: questa è una riflessione ancor più audace di quella precedente! Tuttavia, devo confessare che è credibile.

Paolo: sull’adozione o sul matrimonio tra persone dello stesso sesso traete voi le conseguenze. Al centro dell’educazione, per essere sintetici, deve esserci l’altro o se stessi? Lo stesso dicasi della maternità surrogata o dell’utero in affitto: l’altro è alla mercé dell’io, suo oggetto di scelta, come fossimo al supermercato. Si favorisca e si controlli piuttosto l’adozione, oggi difficile, costosa e anche fonte d’illecito.

Edoardo: certamente dopo queste nostre riflessioni non capisco più la definizione della religione come oppio dei popoli! La domanda religiosa segna l’essere di ogni uomo in quanto uomo, la libertà è la conseguenza del corto circuito interiore tra domanda infinita e tentativo di risposta nel finito e la stessa morale non è, se lo si vuole, un’imposizione, ma una ragionevole riflessione sulla realtà delle cose! Dove sarebbe l’azione drogante della religione?

Manfredi: è quella operata spesso, nella storia, dalla Chiesa come potere temporale e spirituale!

Paolo: è vero! Ma se vi ribellate a questo e additate quel comportamento come drogante, capite evidentemente, seppure in modo implicito, che non dovrebbe essere così! Che dovrebbe essere ben altro da una droga! È per questo che capite che la Chiesa ha sbagliato!

Manfredi: questo può anche essere vero, ma resta in ogni caso drogante rispetto ad un impegno storico, politico, sindacale, ma direi anche sociale e culturale!

Edoardo: non sono d’accordo! Ma se abbiamo detto che tutta la storia, con tutti i suoi impegni per rispondere, altro non sono che un tentativo di colmare il dislivello che è in ogni uomo, fra la sua natura animale e l’altra natura, che potremmo definire sovrannaturale! Come fa ad esserci disimpegno? Tutta la storia, anche se va lontana dalla sensibilità religiosa è alimentata e orientata da una considerazione di base…

Paolo: una considerazione consistenzialista…

Edoardo: è spinto verso ciò di cui manca! E come fa a scoprire questa mancanza che, per definizione non è presente? Non c’è?!

Paolo: mi sento gratificato nel sentire le tue parole! Mi hai perfettamente compreso!

Edoardo: anzi, paradossalmente, un forte attivismo è determinato da una forte sensibilità del dislivello! Del gap che c’è tra domanda e risposta! Una ricerca continua che possa dare all’uomo quiete, pace, serenità, felicità, appagamento. Ed è consapevolezza di tutti, anche se difficilmente viene esplicitata, che questo raggiungimento non è mai raggiungibile!

Paolo: precisamente perché la domanda è di qualità infinita e, di conseguenza, nessuna quantità, pure estesa e complessa potrà esaurirla. La storia non possiede risposte definitive, per definizione. Eppure non cessa di cercare!

Manfredi: ma del Cristianesimo, Paolo, che mi dici? Va bene il tuo discorso sulla domanda religiosa come consapevolezza di eccedere sulla natura per bisogni, interessi e risposte, ma poi la storia ci presenta un numero molto ampio di religioni, un guazzabuglio di riti, preghiere, azioni, credenze, divinità…A questo punto cosa fai?

Paolo: se io presento nella visibilità storica una richiesta, le risposte che mi arrivano dovranno essere vagliate in base alla domanda. Se tutte le religioni sono legittime per contestualità storico-geografica, non tutte lo sono come pienezza di risposta. È un po’ come la fame. Ogni tempo e zona geografica ha il suo modo di sfamarsi, ma non ogni tipo di cucina è valido per una crescita armoniosa e che non sia di danno all’organismo che ha richiesto di mangiare. Per fame io posso anche, nella disperazione, nutrirmi delle bacche che trovo e che poi possono anche avvelenarmi! Non le ho prese e mangiate per avvelenarmi, ma per nutrirmi. Ciò non significa, tuttavia, che la legittimità di sfamarmi (la ricerca di risposta!) abbia tolto loro il veleno intrinseco che avevano.

Manfredi: credo di aver capito che soltanto così può superarsi il relativismo storico!

Paolo: esatto! Se tutto nascesse nella storia e con la storia, come alcune scuole di pensiero vorrebbero, le religioni (ma anche sette e movimenti di varia natura) storicamente sarebbero tutte equivalenti, già solo per il fatto di essersi costituite storicamente! Ma questa concezione, fatta passare per scientifica, -si badi bene, una scientificità costruita sulle sabbie mobili della storia!-, è solo ideologica, giacché con questo presupposto si condanna alla transitorietà e alla morte ogni religione. il problema è che, lo storicismo, anch’esso nato su basi storiche, dovrebbe consumarsi alla stessa maniera nel nulla della precarietà di cui vorrebbe, invece, essere paladino assoluto!

Manfredi: dunque verifica delle risposte storiche religiose e non alla luce della domanda originaria!

Paolo: sì! Precisamente! Mi chiedevi del Cristianesimo? Considera anche qui, per semplice riflessione, una sola cosa. Al di là del crederci o meno, il Cristianesimo è l’unica proposta di Dio che si fa uomo! Non ce ne sono altre! “Tecnicamente” è l’unica che può rispondere alle due dimensioni, finito e infinito, che sono in ogni uomo. Nelle altre fedi, anche politiche, sindacali, culturali, sociali, estetiche, oltreché religiose, l’infinito è presupposto o alluso o implicito o indicato come ineffabile, irraggiungibile…Resterebbe dunque l’asimmetria: il finito rincorrerebbe un infinito solo immaginato! Un compimento e una risposta continuamente rimandata, rinviata ad altra data! “oggi non si fa credito, domani sì!”…ma è solo illusione. E questo è drogante!

Edoardo: e nel Cristianesimo no?

Paolo: no! Devi credere, certo, al Dio incarnato, ma perché, le altre fedi non fanno ugualmente un atto di fede? Ma quello del Cristianesimo risponde pienamente alla composizione stessa della domanda, della sua intrinseca identità bivalente! Così, a freddo, se devo credere, credo in ciò che ragionevolmente risponde pienamente e non parzialmente alla mia domanda non-naturale!

Manfredi: lo sai Paolo che mi stai davvero mettendo in difficoltà? Dovrei rivedere molte cose!

Paolo: a qualcosa dovrà pur servire questo nostro dialogo!

Edoardo: e se l’uomo si è inventato Dio per rispondere al vuoto che ha in sé?

Paolo: ma come! Hai dimenticato la prospettiva consistenzialista? Come ti accorgi del vuoto se non hai avuto, seppur oscuramente, un’esperienza o un’idea della possibile pienezza?

Edoardo: è vero! Lo avevi già ben chiarito!

Manfredi: si può tornare al tema dell’amore? Lo hai definito, se ricordo bene, come innaturale, anzi, meglio, sovrannaturale. È così?

Paolo: sì, è così!

Manfredi: e hai anche spiegato l’amore filantropico e quello agapico cristiano come due modalità d’amare molto differenti tra loro!

Paolo: perfetto! Cosa vuoi ancora approfondire?

Manfredi: non mi torna una cosa: ma l’uomo non ha in se stesso la potenzialità di amare? Non è già in lui questa capacità?

Paolo: devo anche a te richiamare la prospettiva del consistenzialismo. Sull’amore non l’ho ancora fatto e ti ringrazio di volerci tornare su e approfondire!

Edoardo: allora spiegaci!

Manfredi: ma collegando la tua riflessione a questa capacità innata nell’uomo di amare!

Paolo: pensate che animali e piante sappiano amare?

Edoardo: non mi pare! Non credo!

Manfredi: ma i sentimenti li hanno anche gli animali e, come si è scoperto da qualche anno, persino le piante! Ovviamente ognuno comunica nel suo modo specifico!

Paolo: in qualche modo la filantropia può essere paragonabile alla solidarietà di specie per gli animali gregari. Non c’è, a mio avviso, molta differenza. È un sentimento che è incline alla sopravvivenza del gruppo e che coinvolge tutte le specie con caratteristiche sociali. Non si tratta dunque di assimilare in modo più o meno confuso i sentimenti con l’amore. Anche l’odio è un sentimento e questo fa capire che parlare di sentimenti non significa automaticamente parlare di qualcosa di per sé buono.

Edoardo: vuoi dirci che l’amore va chiarito ulteriormente e che non basta parlare di sentimento per definirlo o celebrarlo?

Paolo: certo! Noi usiamo il termine “amore” per troppe cose e così confuso, sembra essere diffuso e comune, quasi fosse naturale!

Edoardo: e invece ci hai già spiegato che non è così!

Paolo: sì, vi ho chiarito, per essere sintetici, l’amore orizzontale, storico, che come tale è soggettivo, opinabile e sostituibile alla pari anche con un sentimento opposto e l’amore verticale, assoluto, incondizionato, senza alternative e per questo riconoscibile perché gratuito e fondato sulla trascendenza.

Manfredi: ecco! Questo vorrei che mi chiarissi.

Paolo: proprio quella potenzialità d’amore che è nell’uomo e da non confondere, come alludevo, a forme di affezione gregaria, non vi fa riflettere? Perché mai, in natura io uomo avrei dovuto ricevere questa potenzialità così scarsamente naturale, tutta votata all’altro, incondizionata, spesso vissuta a proprie spese, senza vantaggio appunto, senza tornaconto come invece avviene per ogni relazione che si sviluppa in natura? Quale convenienza avrebbe avuto l’uomo e la natura stessa a coltivare un sentimento così poco fedele alle cadenze naturali e inesistente negli altri organismi che ne sopravvivono senza problemi? La natura da milioni di anni vive senza amore, in una spietata lotta di sopravvivenza e va avanti e prosegue e non muta trasformando le relazioni in nuove relazioni di amore. E non confondete la cura genitoriale di alcuni animali con l’amore! Ancora una volta sono costretti dall’istinto della specie di appartenenza e non operano una scelta! Quando manca la libertà, ogni azione esce dal circuito del buono e del giusto, per entrare in quello ben più sicuro, ma asfissiante, della necessità!

Edoardo: vai pure avanti. In effetti, stiamo osservando le cose in una prospettiva che già ci hai presentato, anche se, su questo tema, non lo avevamo ancora fatto in pieno.

Paolo: allora dovreste aver capito! Quella domanda religiosa innata che vi ho cercato di chiarire, ha in sé come elemento fondante precisamente l’amore! L’amore, -ma, ripeto, non quello che si realizza in orizzontale nel mero perseguimento della solidarietà di specie-, è parte integrante di quella traccia divina in noi! È perché l’Amore ci precede e ci fonda che noi uomini possiamo amare. L’amore non esiste perché l’uomo ama, ma l’uomo ama perché l’Amore ci pre-esiste!

Edoardo: ah! È qui allora che si può parlare di amore senza fine, di amore eterno! È qui la motivazione per la Chiesa di non poter accettare il divorzio!

Paolo: ancora una volta senza riferimenti alla morale o alla dogmatica cristiana, ma semplicemente riflettendo, con il divorzio l’uomo pretende di far terminare l’amore a proprio piacimento, circoscrivendolo ai propri soggettivi e privati limiti e testimoniando negativamente sulla capacità di amare, perché si determina una sorta di sospetto diffuso sulle possibilità di un matrimonio di poter andare avanti sino alla fine! Se l’amore finisce siamo stati noi a non saper amare, perché l’amore non oscilla, non fluttua, non segue i capricci umani, come un’onda imprevedibile. Noi assegniamo all’amore quella finitudine e precarietà che è tutta e solo nostra. Facciamo come la volpe e l’uva, quando, come ricorderete, non riuscendo a raggiungere l’uva, la volpe si autoconsola dicendo che è acerba! Ma l’uva è buona; è la volpe incapace di raggiungerla!

Manfredi: e quale conclusione ci porta questa tua riflessione?

Paolo: quando ci chiedevamo come orientarci fra le molteplici risposte storiche, fra le tante religioni, ora abbiamo un indizio in più! La risposta deve essere Dio-Amore. Altri modi di concepirlo sarebbero soltanto ipotesi umane, laddove l’amore, invece, che noi abbiamo potenzialmente in noi stessi, deve pur avere un’origine e questa non è naturale. Dunque la risposta viene a completare e avallare e giustificare e dare senso profondo a questa nostra specificità non naturale. Ed è inutile ricordarvi che anche questo indizio depone a favore del Cristianesimo.

Manfredi: è il tuo riferimento di base: perché uno vorrebbe qualcuno che gli voglia bene o da amare se non ha mai avuto nessuno che gliene ha voluto? Come fa, cioè a sentire la mancanza di qualcosa che non ha mai avuto?

Edoardo: si tratta anche qui, mi pare, di quello che hai definito consistenzialismo! Se avverto l’assenza, la mancanza, vuol dire che la consistenza di ciò che c’è è meno consistente della consistenza di ciò che avverto essere mancante e a questa tendo e questa assenza cerco di colmare!

Paolo: perfetto! Non ho altro da aggiungere.

Manfredi: se ho ben capito, dunque, se diciamo che ogni persona nasce con il desiderio di relazionarsi a qualcuno, come se ne sentisse la mancanza, possiamo in un certo senso affermare che sembra che ancora prima di essere nata abbia avuto relazioni con qualcuno! Possiamo quindi dire che ancora prima di nascere la persona conosca le relazioni, viva in esse e che appena nata e in tutta la sua vita non cerchi se non di costruire relazioni, se pur nella diversità che poi la vita comporta!?

Edoardo: certamente!...e fare storia significa introdurre come motivo trainante in essa l’amore, in forme diverse: dall’amore per la propria terra a quella per la conoscenza o per il proprio lavoro o l’amore per la propria donna, e così via!

Manfredi: è ancora una volta la rincorsa al compimento, perché si è riconosciuta l’assenza! Anche qui, anche per compiere l’amore!

Paolo: io sto zitto, tanto ora andate avanti voi in modo coerente!

Manfredi: è la presenza della trascendenza, dell’infinito nell’uomo a definire l’essenza del consistenzialismo! Se l’uomo fosse appagato, la consistenza sarebbe quella solita, quella di ciò che è presente, sperimentabile, utilizzabile, vivibile. E invece…

Edoardo: e invece ciò che spinge l’uomo alla conoscenza, alla ricerca, al meglio, all’evoluzione, al progresso è precisamente la consistenza di ciò che manca, di ciò che è riconosciuto assente e che, paradossalmente, non c’è, non esiste, di per sé, dovrei dire, è una consistenza inconsistente! Eppure è quella più consistente!

Manfredi: consistenzialismo…ma come ti è venuta in testa questa idea!?

Paolo: mi ha sempre sorpreso ciò che diamo invece comunemente per scontato: riconoscere l’assenza! Come faccio a riconoscere l’assente, ad esempio, in una classe se non ho prima l’elenco di chi dovrebbe esser presente? Se non l’avessi, ciò che vedo è ciò che deve essere e mai potrei dire che manchi qualcuno! E allora, guardando l’uomo, la storia, in generale, questa non è il grande tentativo di rispondere alle assenze riconosciute? Movimenti di compensazione a più livelli? Dalle rivoluzioni alle successioni regali, dal progresso tecnologico e scientifico alle arti, dalle indefinite microstorie umane alle grandi civiltà.

Manfredi: la libertà, ci hai chiarito, affonda qui, perché le è possibile decidere e scegliere soltanto in quanto la motivazione-domanda è insondabile, è infinita e permette a ciascuno di dire la propria.

Edoardo: l’animale non ha domande infinite, ma finite e deve soltanto maturare biologicamente per averle e trovarle già in sé. Dal volo alle tecniche di caccia, dalla difesa sino all’accoppiamento e così via.

Paolo: e ora vi chiedo? Quanto vale secondo voi, ora che abbiamo chiarito molte cose, l’affermazione che la religione sia l’oppio dei popoli?

Edoardo: è, a mio avviso, soltanto un escamotage ideologico che facilita la strada al potere! Non ha alcun valore, effettivamente! E tu Manfredi che cosa dici?

Manfredi: devo riflettere, ma quello che ho capito è che l’elemento fondamentale è il riferimento che si prende!

Edoardo: cioè?

Manfredi: se l’uomo è visto come animale fra animali, tutto teso alla propria sopravvivenza, tutto calato nella naturalità e nella considerazione che la storia sia una sorta di evoluzione dalla naturalità, invece che una rottura, è chiaro che la religione distrae, porta l’attenzione altr-ove, può essere, come del resto è stato fatto, uno strumento in mano alle istituzioni o al potere per orientare le masse laddove si vuole o tacitarle o intimidirle a proprio piacimento!

Edoardo: ma, invece…

Manfredi: ma invece, se si assume un altro riferimento, altre sono le conseguenze!

Edoardo: l’altro riferimento è quello che ci ha spiegato Paolo!?

Manfredi: esatto! In questo caso si rovesciano totalmente i giudizi!

Paolo: se, come ho cercato di chiarire, l’essenza dell’uomo è in quel rapporto dialettico tra finito e infinito, ogni sopraffazione o invasione o monopolizzazione del finito sulla parte infinita dell’uomo è oltraggio, è vero e proprio oppio, droga che deve distrarre dall’autentico senso della vita, dalle riflessioni più profonde che non siano quelle della sopravvivenza animale e della contrapposizione animale! L’oppio dei popoli è il marxismo, il comunismo, ogni materialismo, ogni ideologia! Pensate al nazismo, al fascismo, al maoismo, allo stalinismo, al franchismo e a tutti gli altri “ismi”, da qualunque livello provengano, -scienza, filosofia, estetica, ecc.-, quanto hanno distratto l’uomo dal suo vero scopo! Quale è davvero la vocazione dell’uomo?! Di vivere la sua vita al meglio come qualunque verme? E, aggiungo con consapevolezza, anche il mio consistenzialismo potrebbe erroneamente essere assolutizzato, anche se spero di no!

Manfredi: cercare la felicità! È una ricerca innata in ogni uomo!

Paolo: non basta, Manfredi, dire “felicità”! il male dà felicità? Sei costretto a definire una felicità giusta e buona e torni, così, dentro gli argomenti che abbiamo già chiarito della libertà, della morale, del problema del bene e del male, della relazione con gli altri. La felicità non è fare ciò che si vuole! Non siamo un’entità astratta, individuale e sola! Non basta dire “voglio realizzare i miei desideri!”. Devi fare subito i conti con valori che non sono soltanto tuoi, ma che appartengono a tutti: i tuoi desideri danneggiano gli altri! Sono moralmente accettabili! Sono giuridicamente legali?

Manfredi: e non potrebbero, morale e diritto ad esempio, essere prodotti solo della convenienza sociale? Strumenti utili a convivere, ma forzature del potere o della necessità della società?

Paolo: ma come? Hai poc’anzi detto che il bisogno di relazioni è innato in ogni uomo e ora mi parli di un individuo astratto, decontestualizzato, fuori da ogni condizione sociale, che desidera e cerca una felicità non facendo conto proprio delle relazioni di cui hai detto?

Edoardo: devo dire che le tue argomentazioni possono anche non essere seguite nella vita di tutti i giorni, ma sono convincenti!

Manfredi: d’accordo. Una domanda che sembra non c’entri nulla, ma che ti voglio fare: come mai le chiese sono piene solo di anziani e i giovani la disertano?

Edoardo: credo di poter rispondere io! La società in cui viviamo fa di tutto per narcotizzare i giovani di fronte agli autentici problemi della vita, con facili pseudovalori da rincorrere. In più, il giovane, per questioni ormonali, ha vigore e forza vitale ed è poco incline a meditare su qualcosa che, fortunatamente, gli è ancora lontano! Per molti giovani, pregiudizialmente, la religione è tristezza, pesantezza, senso di morte, falsità e ipocrisia e niente di più.

Paolo: è così! La cultura dominante ha prodotto i suoi effetti droganti! L’oppio dei popoli è questo mondo fatuo, illusorio, mondano, tutto divertimento e banalità, che ci avvolge insieme all’altro di sopravvivenza spicciola. Così siamo assediati dalla precarietà e dall’effimero, come se fossero la cosa più importante! E si è avuta la presunzione di accusare la religione di essere “oppio dei popoli”! Mai è venuta fuori dall’àmbito religioso un’accusa così alle banalità mondane! Mai è stato additato il mondo materiale in tutte le sue manifestazioni come oppio, droga, anestetico delle masse! Eppure, la storia ce lo ha ulteriormente confermato! Non è soltanto conclusione teoretica secondo una riflessione ragionevole che abbiamo qui portato avanti. Si tratta anche di una verifica empirica: quanti morti per la Repubblica o per Giulio Cesare o Pompeo Magno, per questo o quel condottiero, per i Borgia o i Borboni, per Napoleone…tutti falsi dei, idolatrati e scambiati per risposta definitiva! Altro che le religioni! Questo oppio ha portato molto più delle religioni, inganno, sangue e tragedie, senza mai dare una consolazione, una risposta luminosa e carica di speranza. La Rivoluzione Francese, modello della modernità e dell’attuale concetto di libertà e eguaglianza, si è costruita su teste mozzate, sul conseguente Terrore, su una caccia alle streghe che non ha nulla da invidiare a quella più nota e ideologicamente diffusa!

Manfredi: i tuoi ragionamenti, comunque, non cancellano dalla storia gli errori della Chiesa!

Paolo: certo che no! Comportamenti spesso indegni anche solo di essere accostati al Cristo! Ma una Chiesa perfetta non avrebbe bisogno di Dio! Né di un Redentore!

Edoardo: e tu cosa fai? Guardi in silenzio?

Paolo: neanche per sogno! Non testimonio la Chiesa! Testimonio la Parola di Gesù nella Chiesa! La santità della Chiesa le viene soltanto ed esclusivamente dal Fondatore, di per sé essa è un insieme di uomini corrotti e corruttibili come gli altri, con una percentuale in più, grazie a Dio, di uomini di buona volontà! Se ci si accorge che la stanza è sporca, ci si rimbocca le maniche e si fa la propria parte per ripulirla! Non si cambia stanza! Nel farlo, diventeremmo noi, ciascuno di noi che lo faccia, un neo fondatore con la pretesa di sapere cosa sia meglio. Un insegnamento scomodo ma fondamentale che mi ha dato il Cristianesimo è che l’altro non va scelto, ma accettato incondizionatamente! La Chiesa è fatta come ogni società, con una percentuale, si spera, superiore di uomini di buona volontà, ma niente di più. Non scelgo la purezza e l’innocenza astratte di istituzioni, partiti o associazioni, ma la realtà tutta umana della Chiesa perché, almeno, fondata e orientata al progetto salvifico della creazione, alla vittoria sulla morte, alla diretta testimonianza del Vangelo!

Edoardo: certo, la nostra vita resta con un insieme di domande senza risposta! Avvolta ancora da una serie di domande che non avranno risposta! In questo, in particolare, per quanto mi riguarda, vedo quell’anelito senza fine che è in ogni uomo proprio in quanto uomo e di cui hai parlato sino ad ora.

Paolo: guarda che porsi delle domande, da quando siamo comparsi sulla terra e non trovare risposte…è una risposta!

Manfredi: di nuovo il consistenzialismo?

Paolo: sì! Da dove provengono le domande se né chi le pone, né chi come la natura dovrebbe rispondere, sono in grado di chiarire e risolvere? Provengono, evidentemente, da un oscuro, forse un confuso sentire un vuoto, una mancanza che si esplica poi in questo o in quel quesito, dando vita alla cultura e alla storia. E quel vuoto si riconosce perché la pienezza è in noi, in ogni uomo, ché altrimenti non saremmo in grado, non potremmo cogliere la mancanza, l’assenza, o, se volete, il vuoto.

Manfredi: insomma, paradossalmente, sono domande che fa l’uomo, ogni uomo, ma che non sono, per così dire, farina del suo sacco! Basterebbe fermarsi a riflettere su quel vuoto per capire che esso non è all’inizio, perché non sarebbe intercettabile!

Edoardo: come se, -e lo abbiamo detto in questo nostro dialogo-, un elemento che trascende l’uomo, lo eccede, così come trascende ed eccede la natura, gli imponesse, in ogni caso, di confrontarsi con quei quesiti! E così emergono costantemente, anche se sappiamo non avranno risposta!

Paolo: cerchiamo allora di disintossicarci dall’oppio che ci viene propinato dalla cultura dominante, dalle ideologie orizzontali e antimetafisiche, dai media schierati, come una moda, sempre dalla parte di una quantità estesa e del tutto disinteressati a servire la chiarezza e la verità. Verità intesa semplicemente come cercare al di là delle apparenze animali dell’uomo. Quale lo specifico umano? Sopravvivere e divertirsi? Stare bene? Come si fa a non leggere nelle generazioni presenti il disagio di vivere, così portati precocemente all’alcool, alle droghe, allo sballo, al border line, allo stordimento nelle discoteche, all’isolamento dal mondo con cellulari e cuffie? Come si fa a non intercettare in tutto questo un placebo, un goffo tentativo di andare avanti in modo tollerabile? Di denunciare, indirettamente, che le risposte non sono arrivate e si cerca, di conseguenza, di “star-fuori”? Ci hanno drogati, ci hanno illusi, come hanno sempre fatto. Parlo ovviamente di quel pacchetto leader di istituzioni, lobbies, poteri, più o meno occulti, di opinion leaders, veri e propri parassiti, scrocconi, che si fanno ricchi della stupidità altrui.

Edoardo: in fondo, -lo dico con una punta d’ironia-, ognuno di noi, se vuole, può diventare un centro di recupero e disintossicazione!

Manfredi: ma non c’è già la tua Chiesa, Paolo?

Paolo: la Chiesa non è mia, ma anche tua, persino tuo malgrado! In ogni caso, non sempre è in linea con il Vangelo e spesso, come ora, vive momenti di grande confusione e disorientamento. E anche qui, inesorabilmente, la prospettiva consistenzialista mi avverte: colgo l’assenza, l’assenza di spiritualità, l’aria pulita della trascendenza, l’impegno verso Cristo, senza cedimenti politici, sociali, economico-sindacali, tutti cedimenti degni di Barabba e indegni del Vangelo, cedimenti umani, troppo umani per essere scelte celesti.

Edoardo: sei molto severo nei tuoi giudizi!

Paolo: chiunque non prenda posizione contro questa cultura in-differente, ne diventa complice. È una cultura tanto indifferente che assolutizza, contraddittoriamente, il proprio relativismo e sembra concedere, per indifferenza, a chiunque il suo piccolo spazio consolatorio, purché esso non “pretenda” di ledere la maestà di tale relativismo. La cultura dominante è un oppiaceo a cui ci si sta assuefando, senza più capacità critiche, passivamente: tutto è presentato per illudere e nascondere il problema che la vita è in quanto tale e impone in ogni momento. Dai bambini, irretiti dal facile consumismo, dall’ipocrita volontà di protezione di una società violenta e greve, che li considera solo come cuccioli della specie da perpetuare, sino ai rozzi adolescenti odierni, zucche vuote riempite di nulla da modelli banali e negativi, al di là di ogni elementare forma di rispetto della convivenza, sino agli adulti, tutti presi dalla follia quotidiana, in ansia per l’effimero, curvati nei vagoni della metro sui propri nuovi feticci, piccoli rettangoli magici con i quali giocare, comunicare banalità, mostrare di essere a la page. Ecco il vero oppio dei popoli!

Edoardo: dopo quello che ci hai sin qui chiarito, è difficile, hai ragione, giudicare diversamente ciò che ci circonda!

Paolo: ciò che è stato costruito culturalmente, con pazienza distillata, è tutto quanto è utile per ottundere l’uomo e convogliarne le risorse sul funzionale tecnologico e sull’edonismo spacciato ancora una volta per eudemonismo. E ci si è chiesto poi come fosse possibile che tanti giovani occidentali avessero lasciato “cotanta felicità tecnologica, agi ed una vita normale e comoda” per partire con gruppi terroristici a fare una vita nel deserto, con duri addestramenti ed uccidere e farsi uccidere per “ideali” lontani, estranei persino. Ma, ai loro occhi, ideali. Queste punte avvelenate dell’iceberg che denunciano la miseria e la pochezza dei cosiddetti valori occidentali (Sciacca li avrebbe definiti giustamente “occidentalisti”) preferiscono una cultura della morte mascherata di “giustizia religiosa” che non l’omologazione castrante di una cultura oppiacea quale quella che il laicismo ha eretto in nome dell’in-differenza contrabbandata per libertà e tolleranza. E si continuano a sentire sciocchezze del tipo “è colpa delle religioni!”, “anche noi nel passato abbiamo ucciso in nome di Dio” o “le religioni portano sempre al fanatismo”. Sembra quasi che la religione debba costituire un lieve e trasparente vestito da mettersi addosso per puro gusto individuale, senza ostentarlo, né testimoniarlo pubblicamente. Come se la fede fosse un fatto privato, da consumarsi in privato, così come ogni cosa oggi vissuta e consumata, come altri consumano l’oppio del laicismo e della cultura dominante. Un cantuccio, un’oasi di illusione!

Manfredi: torna quello che hai sin qui demolito, cioè che la religione sia l’oppio dei popoli!

Paolo: ma è quello che vuole questa pseudocultura dominante. Vorrebbe relegare la fede nel cantuccio sentimentale di ognuno, perché ciascuno parli con la sua privata alienazione che ha chiamato Dio e che lo consola del nulla del presente con il nulla del futuro.

Edoardo: certo che se si prova, come ci hai indicato, a vedere invece la storia (e la stessa visione laicista) come una delle tante risposte alla domanda religiosa, si capirà allora che ogni realtà è connessa a quella domanda e che non si può essere religiosi in modo privato, perché l’intera storia prende avvio da quella domanda!

Manfredi: penso che si abbia timore a fare questa vera e propria svolta culturale! Si pensa a una forma di integralismo religioso, di teocrazia nascosta…insomma di un’invasività indebita nella nostra esistenza di uomini!

Edoardo: soprattutto perché questa domanda religiosa non può essere considerata in sé, ma viene quasi inevitabilmente connessa alla chiesa, al suo potere temporale, ai suoi errori e scandali!

Paolo: credo che abbiate ragione. La credibilità va conquistata e conservata giorno dopo giorno. Per questo l’appartenenza di fede è impegno e responsabilità continui. Non è una serie di certezze di compensazione che si tiene in tasca e si usa all’occorrenza per consolarci o darci risposte suppletive.

Manfredi: e non credi che radicare tutto l’uomo, la sua storia, la sua libertà, le sue scelte ad una domanda che è religiosa, possa aprire le porte al potere clericale, come è stato in alcuni momenti della storia del passato?

Paolo: no. Le cose dovrebbero restare così come sono, con un’autonomia civile che legifera e giudica secondo le sue logiche. Quello che credo invece sia fondamentale, è togliere la religiosità dal cantuccio sentimentale e privato, pensando di poterlo controllare autoritariamente e ideologicamente. Vorrei che si comprendesse la radice dell’uomo, la sua radice celeste, infinita, quella che lo fa grande e lo rende responsabile e, per chi sceglie la fede, anche immortale.

Edoardo: ti preme, dunque, anche l’eliminazione dei tanti pregiudizi che avvolgono tuttora quanto è definibile come religioso!?

Paolo: esattamente e anche la profonda ignoranza! Ci si aggiorna sulle cose più futili e banali, ma su quanto, se fosse vero, decide della nostra vita per l’eternità, siamo superficiali e dogmaticamente ipercritici e pieni di luoghi comuni!

Manfredi: non nascondo che è stato così anche per me.

Edoardo: sì, devo dire che anche nelle mie convinzioni c’era molto pregiudizio e una sorta di pigrizia ad approfondire il fenomeno religioso.

Paolo: il guaio è che non è stato soltanto per voi, ma è così per la gran parte della gente che pensa di poter giudicare e valutare ciò che è religioso, senza adeguata riflessione!

Manfredi: mi pare di poter sintetizzare il tuo discorso in una sorta di legge: la storia dell’uomo, nella sua accezione più ampia, è la scoperta di una continua assenza!

Edoardo: e quindi, si esprime e si esprimerà come una serie di tentativi di risposta!

Paolo: credo sia anche umano che in questa serie di risposte che costituiscono la cultura umana, ci possa essere chi nega il problema e, dunque, la domanda stessa. Fa parte, persino statisticamente, delle possibilità che possono nascere all’interno della miriade di risposte che sono state date, che si danno e che si daranno a quella primigenia domanda.

Edoardo: e certo! Se ammettessero di riconoscere il problema, dovrebbero presupporre necessariamente quella presenza piena che permette loro quel riconoscimento!

Manfredi: insomma, ancora una volta il tuo consistenzialismo!

[1] Lucio Lombardo Radice, Figlio dell’uomo, in I. Fetscher, M. Machovec (a cura di), Marxisti di fronte a Gesù, Queriniana, Brescia 1979, p. 26. [2] Paolo Rossi, Ludwik Fleck e una rivoluzione immaginaria, in Ludwik Fleck, Genesi e sviluppo di un fatto scientifico, il Mulino, Bologna 1983, pp. 16-17. [3] Ivi, p. 19. [4] G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, Prefazione La Nuova Italia, Firenze 1972 (4°R), vol. I, p. 6. [5] A. Brelich, Introduzione alla storia delle religioni, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1966, p. 10.

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