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Preghiamo per la pace del mondo, nel mondo, preghiamo per i poveri, perché non ci sia più gente affamata, preghiamo perché tutti abbiano salute e assistenza, perché non ci sia più disoccupazione, perché i giovani possano trovare quanto di meglio il futuro offra loro, preghiamo per i deboli, i malati, perché nessuno faccia violenza alle donne, ai bambini, sfruttati anche come guerrieri, preghiamo per i profughi, che possano trovare lavoro, casa, serenità e accoglienza, preghiamo perché non ci sia più intolleranza, razzismo, preghiamo affinché tutte le religioni siano in dialogo tra di loro per il bene comune, preghiamo per la salvaguardia del pianeta, per una economia sostenibile a vantaggio delle future generazioni, preghiamo perché non ci sia più mafia, camorra, delinquenza, violenza e sopraffazione, preghiamo perché questa pandemia ci lasci definitivamente, preghiamo per il benessere dei popoli, per quelli meno fortunati, preghiamo per un mondo migliore.
Quante volte mi sono imbattuto in queste “preghiere” dei fedeli, elencazioni sindacali e politiche edulcorate, che non hanno niente a che fare con l’identità cristiana. Infatti, avete notato che tutto quello che è stato elencato come oggetto di preghiera altro non è che quanto perseguirebbe qualunque ateo? Qualunque materialista?
Se davvero tutto questo venisse ad attuarsi, perché mai dovrei alzare gli occhi al cielo e parlare di Dio? Per ringraziarlo di avermi fatto ottenere il paradiso in terra? Ma poi dovrei maledirlo quando la morte, inesorabilmente, a qualunque età, venisse a togliermi tutto questo per cui ho pregato!
E perché quanto ho appena indicato possa acquistare credibilità, proviamo a ricominciare daccapo, ma con un altro verbo.
Lottiamo per la pace del mondo, nel mondo, lottiamo per i poveri, perché non ci sia più gente affamata, lottiamo perché tutti abbiano salute e assistenza, perché non ci sia più disoccupazione, perché i giovani possano trovare quanto di meglio il futuro offra loro, lottiamo per i deboli, i malati, perché nessuno faccia violenza alle donne, ai bambini, sfruttati anche come guerrieri, lottiamo per i profughi, che possano trovare lavoro, casa, serenità e accoglienza, lottiamo perché non ci sia più intolleranza, razzismo, lottiamo affinché tutte le religioni siano in dialogo tra di loro per il bene comune, lottiamo per la salvaguardia del pianeta, per una economia sostenibile a vantaggio delle future generazioni, lottiamo perché non ci sia più mafia, camorra, delinquenza, violenza e sopraffazione, lottiamo perché questa pandemia ci lasci definitivamente, lottiamo per il benessere dei popoli, per quelli meno fortunati, lottiamo per un mondo migliore.
Il confronto diventerebbe spietato: pregare o lottare, stare in ginocchio a snocciolare litanie o sporcarsi le mani per impattare la realtà, aspettare passivamente o agire in prima persona, subire sino all’eventuale cambiamento o trasformare subito le cose.
Il cristiano non ha come modello Barabba, il liberatore terreno, politico-sociale ed economico, ma Gesù. Se il mondo fosse trasformato come sopra, dall’agire di un cristiano, di cristiano non ci sarebbe nulla e nulla avrebbe fatto come cristiano! Anzi, si è percorsa la strada della precarietà e transitorietà storica per assegnarle risposte appaganti! L’errore idolatrico di ogni ateo. Rincorrere una perfettibilità orizzontale con riferimenti orizzontali! È stata proprio questa la tentazione serpentina dell’Eden: “sarete come Dio!”.
Eppure Gesù è stato chiaro quando ci ha avvertito che la pace che ci augurava non era la pace di questo mondo; quando ci ammoniva che non di solo pane vive l’uomo, che esiste un’acqua che disseterà per sempre e che pur morendo, se crediamo in Lui, non morremo!
Non mi si fraintenda. Non sto evocando un’astensione dall’impegno nel mondo, per il mondo. Ciò che sto criticando è che questo assurga a finalità cristiana, a impegno cristiano, a identità cristiana. Certo la pace! Certo il superamento delle diseguaglianze! Ma queste non devono rappresentare lo scopo del cristiano! Ne sono una conseguenza, una sorta di diretta derivazione dal considerare in Dio, l’altro, ogni altro come fratello.
Se l’altro come tale non ha la sua radicazione nella Verità trascendente di Dio, l’altro è soltanto uno della mia stessa specie, verso il quale sono chiamato alla solidarietà da una sorta di aggregazione e difesa della stessa, che è del tutto naturale e animale, comune e diffusa presso tutti gli animali gregari che, tuttavia, in circostanze diverse, può suggerirmi, per la medesima origine naturale e animale, di aggredire e sopraffare. Non essendoci un riferimento assoluto, le motivazioni transeunti che oggi mi fanno amico e domani possibile nemico sono del tutto consequenziali. Chi non crede, può amare e odiare allo stesso modo e con le medesime motivazioni; chi è cristiano può solo amare. Può solo amare perché per lui l’amore ha fondamento assoluto, dunque sovrastorico e nessuna variante e precarietà che il tempo e lo spazio recano con sé, può giustificare comportamenti diversi. Per questo un cristiano, come ammonisce Gesù, è riconosciuto come Suo discepolo da come saprà amare.
Tutto ciò che ha basi storiche è condannato all’effimero, alla nullificazione, alla morte.
Gesù vince questa assolutezza della precarietà che è la morte, con la Resurrezione.
Ma non è casuale che la prima immagine di essa sia il sepolcro vuoto. Cioè l’essenza dell’uomo che si riconosce figlio di Dio, che coglie l’assenza (il possibile come oltre, altro) e giudica inadempiente la presenza (natura o storia che sia). Il sepolcro vuoto è vuoto. E basta. E così, quella vuotezza riflette il nulla che è. Che ci sia dentro un cadavere o non ci sia, a ben vedere non cambia nulla: in entrambi i casi è il luogo del nulla.
Ma se riconosco che il sepolcro è vuoto, cioè intercetto in quel “vuoto” una presenza mancante, una presenza che dovrebbe esserci ma non c’è, la morte è già messa in discussione. La Resurrezione prima ancora che in modo eclatante riconoscibile dalle apparizioni successive, è lì, depositata in quell’oscurità, dove bende e sudario sono messe da una parte, in ordine. Si coglie come la morte sia, in quelle poche immagini, del tutto svanita. Stupore, paura, speranza: la dimensione della generazione è di fronte a qualcosa che non le appartiene, perché ad essa da sempre è appartenuta solo la morte.
Ma lì, in quel sepolcro “riconosciuto” vuoto, il nulla è stato, di dentro, redento.
Per questo Cristo è nostra Pasqua, perché come scrive l’apostolo, “siamo risorti con Gesù”, in Lui possiamo superare la mera dimensione dell’esistenza precaria, della linea generativa e, in Lui, risorgere alla vita eterna. E Paolo aggiunge che, proprio per questo radicarsi nella dimensione salvifica che recupera lo strappo nei confronti del piano della creazione, dobbiamo cercare “le cose di lassù”, rivolgere “il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra”. E aggiunge con chiarezza. “voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,1-3). Come nelle parole di Gesù “lascia che i morti seppelliscano i loro morti”, chi decide di appartenere alla dimensione della generazione, si condanna alla morte, al trionfo della precarietà e supplisce con disperati placebo alla sua inesorabilità nullificante. Noi come generati, siamo morti, ma come creati, con Cristo siamo nuovamente in Dio. Ecco la Pesah, la Pasqua, il Passaggio: dalla morte alla vita, dall’apparente trionfo della generazione alla creazione e al suo piano salvifico, dalla precarietà che si assolutizza all’assoluto che annienta il nulla e dà la vita eterna. È la vittoria sulla morte, cioè sulle logiche della dimensione generativa, quella del peccato, che trovano proprio nella morte la loro massima espressione (e non potrebbe essere che la morte, visto che è una indebita assolutizzazione di ciò che è particolare e precario!).
La Pasqua, per chi vuole e crede è il passaggio dalla generazione alla Creazione, dalla morte alla vita, dal finito all’infinito, dal tempo all’eternità: “Chi crede in me non morirà!”. Se fosse così sul piano della generazione, crederebbero tutti, pur di non morire! Ma Gesù sta indicando l’ardua via della creazione che mai va abbandonata, nascosta, dimenticata in mezzo alle tante banalità dolorose dell’esistenza.
Lo stesso mistero della transustanziazione può essere un’immagine di questa relazione tra generazione e creazione. Il pane e il vino (livello della generazione), per chi crede, sono il Corpo e il Sangue di Gesù Redentore (piano della creazione e della Salvezza). Ma per il credente questo dovrebbe essere chiaro, anche se appartiene al Mistero. Già il Battesimo si trova di fronte l’esistenza generata di un bambino, ma la vita non è quell’esistenza terrena, è quella che viene data dall’appartenenza alla creazione, al piano della salvezza.
È lo Spirito Santo che permette e sostiene il passaggio dalla dimensione terrena della generazione a quella celeste della creazione.
Il fatto che Bergoglio abbia esplicitamente dichiarato per due volte, in circostanze diverse, di non saper rispondere alle domande di un’infermiera circa la morte innocente di un bambino, o la malattia che fa soffrire un bambino, significa che non c’è stata in lui alcuna illuminazione dello Spirito Santo. Infatti:
1.- forse la vita ha valore dalla quantità di anni che si vive? Un bambino che muore dopo poche ore vale meno di un ultracentenario?
2.- non è forse proprio quella morte del bambino o la sua sofferenza una delle manifestazioni più eclatanti della realtà generata che è da redimere? Che ha bisogno di un Salvatore? Non è proprio quella morte, così come le sofferenze, i disagi, le imperfezioni, la precarietà quella dimensione del peccato e del male che Gesù è venuto a redimere?
3.- La Redenzione, la Salvezza non appartiene ad una vita generata. Gesù ha risuscitato bambini ed adulti durante il Suo ministero terreno, ma non è quello ciò per cui è venuto: La figlia della vedova di Nain o Lazzaro, poi, sono inesorabilmente, inevitabilmente morti. E così potrebbe essere per quei bambini del reparto oncologico che hanno suggerito la domanda all’infermiera. Gesù potrebbe farli guarire….ma così la loro vita, forse, ha acquistato un senso? O è semplicemente più lunga?!
4.- Il valore di un bambino malato di cancro e destinato a sofferenza e morte precoce, non si misura dall’assurdità di una natura precaria che è questa, da una realtà ottusamente transitoria che ne segna il corso di vita, ma dalla speranza di quella Resurrezione di Cristo che lo ha già reso immortale se in Lui si crede. Ci voleva tanto per dire e dare qualche parola di speranza e chiarezza sull’assurdità dell’esistenza generata?
Roberto Rossi
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