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SU PIER PAOLO OTTONELLO

Immagine del redattore: Roberto RossiRoberto Rossi

In questa giornata, sono proprio le parole di Pier Paolo Ottonello a spiegare la ragione per cui prende avvio e si motiva questo mio, pur breve, intervento: esso nasce dalla «riconoscenza, [che è] radice del perenne iniziare»[1].

E tutto ha avuto inizio da quella che fu la sua dissertazione di laurea, Dialogo e silenzio[2], dunque dal rapporto dialettico tra parole dette e taciute, nella relazione originaria con il fondamento, dove ogni uomo si individua nella qualità, cioè nella sua unicità, dove ogni uomo scorge illuminata la sua individuazione, il suo costituirsi originario come eccedenza qualitativa: sapersi e riconoscersi libero in quanto radicato nella relazione, nell’alterità.


La radicalità della dialettica vivente di parola e silenzio –scrive Ottonello- secondo la polarità abissale della rivelazione e del velamento, dell’allusività e della delusività, della pienezza espressiva e della vuotezza dell’insignificante, si raccoglie nella domanda fondamentale: perché la parola piuttosto che il silenzio?[3]


Perché la parola può parlare del silenzio e anche tacere,aprendo al silenzio, dando ad esso il suo spazio e i suoi tempi. Ma, come è chiarito da Ottonello in Ontologia dinamica, è certamente


il silenzio [la] matrice della parola come scoperta e ricerca e ricerca e scoperta di verità[4].


Nel silenzio


si acuisce l’ascolto, nell’ascolto si valorizza il silenzio, nell’amore si prende cura della parola che autenticamente viene detta[5].


In questo silenzio, scrive Ottonello, che è scandalo alla parola in quanto negazione estrema della discorsività quotidiana[6],


si cela la radice dell’autenticità di una comunicazione ultima.[7]


Così, nel silenzio della propria interiorità in ascolto nasce la prima parola, il primo dialogo, quello originario, che Ottonello interpreta


come emerso anzitutto nella tensione di problema gnoseologico-metafisico; come possibilità e modalità del rapporto conoscitivo e fondativo di un vivente e pensante con l’altro da esso[8].


Rileva Mattiuzzi, che in un capitolo esemplare di Dialogo e Silenzio, intitolato “L’alterità qualitativa dell’esistenza”, Ottonello


anche sulla scorta di fondamentali angolature kierkegaardiane, sviluppa ampiamente le implicanze, sia fenomenologiche che ontologiche, della alterità, fino a parlare di “esperienza totale”, mediante la quale “l’esistente si coglie nella sua profondità di tensione di trascendimento”[9].


La persona è dinamismo essenziale, “inquietante inappagamento”.

L’autentica domanda, la domanda radicale che nasce dal fondamento metafisico dell’ente, nasce come parola nel silenzio e nel silenzio ascolta: è la metafisica che


guida la parola dell’uomo, con radicalità, verso le ragioni ultime dell’esistenza, facendo sì che la parola medesima si sporga qualitativamente nella domanda fondamentale[10].


La relazione con l’alterità alterna dialogo e silenzio, dove il silenzio del mistero vitalizza la parola e questa reclama il silenzio della riflessione, perché


il silenzio misura la parola nella sua radice di incondizionatezza, aprendola in questo modo ad una alterità che è ascolto amoroso[11].


Se l’uomo è il sempre diverso individuarsi qualitativo di relazioni, il suo problema è il problema stesso della relazione nella sua radicalità[12]:


Ma non è certamente la vastità quantitativa a definire il senso dell’esistere: laddove, infatti,


la quantità non si risolve dialetticamente nella qualità, l’uomo si perde come esistente, restandogli soltanto una individualità biologicamente e sociologicamente definita[13].


Sin dalle pagine di Dialogo e silenzio, Ottonello indica, dunque, nella dinamica ontologica, nella dinamica dell’interiorità personale, il punto cruciale in cui si genera la scoperta che porta con sé sempre “nuova meraviglia”. E’ qui quell’incontro di Rosmini con Sciacca che gli svela e gli conferma il senso consapevole della differenza-analogia tra ente ed Essere, la dialettica necessaria di finitezza-irrepetibilità dell’esistenza personale e di assolutezza, la positività ontologica degli enti come finiti, nella differenza qualitativa tra ente-uomo ed ente-natura. La filosofia è, dunque, scrive Ottonello in Struttura e forme del nichilismo europeo,


ontologia e metafisica come determinazione concettuale degli enti in quanto determinazione dell’essere[14].

È, cioè,


pensare come attività del porre, cioè del fondare, del determinare il concetto di tale rapporto: pensare è dunque nel senso più forte determinare, cioè fondare gli enti come determinazione dell’essere e l’essere come principio fondante della determinazione[15].


E’ un motivo ricorrente quello ottonelliano di sottolineare la dignità dell’uomo, la sua positività, ma tale solo perché fondata metafisicamente, come Ottonello ribadisce in L’ontologia di Rosmini[16].

Questo è ciò che fece Rosmini con la sua Teosofia dove, chiarisce Ottonello, è tematizzata la


fondazione della differenza del pensato nel pensare, fondazione della differenza nella differenza[17]


in forza della quale fondazione dialettica


l’oggettività è la natura dell’essere nella sua essenziale relazione con la mente, ossia come la dialetticità dell’intelligibilità[18],


ma è anche ciò che fece l’”inattuale” Sciacca con l’integralità della sua metafisica, capace di fondare la libertà e l’immortalità personale e la storia umana, quale dialogo tra la somma e polimorfica dignità ontologica della singola persona e le supreme leggi della Provvidenza.

In questa prospettiva


acquista tutto il suo valore quella che Sciacca chiama “libertà di elezione”, che Ottonello intende come “libertà liberata dal male”, libertà che ritorna a se stessa, alla sua origine purissima[19],


dopo aver attraversato le tante mediazioni imposte dal limite. Così, dialetticamente,


non è possibile pensare alla libertà dell’uomo senza l’autocoscienza del limite, ma, d’altra parte, neppure il limite può essere compreso nella sua funzione originariamente ontologica, se non è rapportato a quello che l’uomo creaturalmente è, ossia a quella finitudine che gioca intrinsecamente con l’integralità del suo esser-ci[20].

Nota Ottonello in Scudisciate all’estetica, che la dissoluzione crescente


di ogni possibile significato oggettivo della persona è il nucleo della dissoluzione storica della metafisica in quanto tale, e di ogni sua forma e determinazione. La persona, –continua Ottonello- resa così assente fino alla sua scomparsa, accresce la desertificazione essenzialmente come oscuramento dell’intelligenza e come impotenza della volontà nel proprio percorso, nella propria dinamica costitutiva di perfezionamento[21].


Questi motivi rosminiani e sciacchiani vengono sviluppati da Ottonello che


non si stanca di mettere in rilievo l’incidenza ontologica dell’inizialità dell’essere, come fondatività ontologica del pensare dell’uomo.

L’essere non è chiuso in se stesso, si apre piuttosto alla mente che pensa, si fa presenza di luce che tutto rischiara[22].


L’essere iniziale di cui parla Ottonello, nella sua fedeltà alle posizioni del Roveretano, diventa, come scrive in L’ontologia di Rosmini,


passaggio dialettico tra mondo e Dio, tra ente ed Essere, tra finito e infinito[23],


inizio dialettico di ogni scienza e di ogni sussistenza[24], l’assoluta indeterminazione che fonda la dialettica dell’essere come dialettica di essere-esseri e di essere nell’essere, dialetticità della dialettica, in quanto suo stesso inizio dialettico[25]. Questo è il dinamismo del pensare “come unità dinamica e totalizzante”[26], che è, insieme,


forma e oggetto della mente, che precede e implica l’essere reale e ideale[27],

nella consapevolezza che


la strada maestra – come ricorda ancora Ottonello in L’uomo «equivoco»- è l’attraversamento della croce della differenza assoluta tra l’assoluto Essere e gli enti[28].


Qui sta il valore stesso dell’intelligenza in quanto è pensare l’essere nella dialettica creatore-creato, essere-ente e la cui proprietà è l’analogia[29]: per Ottonello, dunque,


non è possibile pensare se non come pensare la creazione: il pensiero, proprio per essere fondativamente iniziato dall’idealità virtuale dell’essere indeterminato, non può che pensarsi nella creazione, dunque è per una istanza ontologica del pensare che la creazione viene necessariamente pensata[30].


Lo testimonia direttamente ed esplicitamente egli stesso quando scrive


filosofia è ri-creazione della creazione in quanto è fondare l’ente finito ex nihilo[31] […] formula sintetica che, al tempo stesso, è la mia filosofia –il massimo paradosso[32].


Una cultura che non sia illuminata dall’intelligenza ri-creatrice si risolve in uno sterile sapere che non apre al senso e che, dunque, resta un sapere incapace di trasformarsi in sapienza[33]. Ottonello ha ribadito e ribadisce costantemente e più volte


la necessità ontologicamente suggerita dall’intelligenza …, di una fondazione assoluta, nella differenza sostanziale tra l’essere e gli individui essenti[34].

Lo fa con la consueta perentorietà, semanticamente forte, ribadendo che soltanto la differenza assoluta fonda la differenza di tutte le differenze mondane.

Pensare è, dunque, la ‘maledizione’ dell’esistenza, maledizione e privilegio,


perché elezione assoluta dell’orientarsi secondo il senso dell’esistere, è anche violenza ad ogni sussistere ‘distratto’, cioè privo del senso del proprio sussistere e indifferente al compito inesauribile della sua ricerca[35].

L’evento fondante della creazione


porta alla luce la questione originaria del perché gli enti sono, piuttosto che non essere, come anche il fatto dell’ente che appare poi dispare, ossia la sua radicale contingenza[36].


Al di là della mera appartenenza alla specie, per generazione, ogni uomo non può non riconoscersi


come ente analogicamente in rapporto con l’Essere in sé e per sé, dunque come ente creato e in questa autocoscienza creaturale, finito[37].


Qui, in questa coscienza di finitezza, si biforcano le due temporalità, quella verticale, irrepetibile,


in cui è custodito il destino stesso ontologico dell’uomo[38],


e quella orizzontale,


come mera successione di semplici ‘adesso’[39].

E qui convergono i due grandi fari della navigazione teoretica di Ottonello, Rosmini e Sciacca, non a caso entrambi da tempo condannati all’oblio da un Occidente che si è perduto proprio in quanto ha perduto l’intelligenza dell’essere[40]: infatti,


negato od omesso radicalmente lo stesso significato del problema dell’essere, della metafisica, si riduce a stupida autodistruttività, a nichilismo, ad antiumanesimo[41].


E la storia può autodistruggersi se non riceve luce dall’essere che è la verità. Il pensiero moderno, infatti, come si legge nel chiarimento ottonelliano da L’Enciclopedia di Rosmini, è dominato


e in modo evidentemente crescente, dall’indebolirsi dell’impegno anzitutto a cogliere con l’intelligenza i significati basilari, quelli cioè che non si limitano ai livelli del linguaggio e della comunicazione, ma che investono nel modo più profondo la nostra singola persona, così come i suoi rapporti con Dio, con le altre persone, e dunque che includono il senso stesso delle leggi e delle norme che presiedono a tali rapporti, nonché il significato complessivo sia della mia propria vita, e di ogni vita, sia della storia nel suo complesso[42].


Dialettica dell’integralità, fondazione metafisica della persona, cultura come essenzialmente filosofia, filosofia come essenzialmente metafisica: queste le strutture portanti della teoresi di Ottonello[43], dove


l’organismo del sapere e l’integralità dell’uomo non solo si corrispondono, ma costituiscono il plesso del sintesismo e dell’unitotalità ontologica[44]


che il Roveretano aveva dispiegato in modo compiuto e sistematico nella Teosofia.

Ogni fenomenologia è conseguenza del senso ontologico che la fonda. Va allora rovesciato il tradizionale dogmatistico rapporto storicista che porta in se stesso una irrisolvibile contraddizione nel momento in cui, negando la tensione al trascendente, pretende che la storia riesca ad autogiustificarsi[45]:


non la storia genera il pensiero, ma la storia è lo stesso pensiero autogenerantesi[46].


Infatti, denuncia Ottonello


gli storicismi di varia lega hanno disegnato le coordinate entro le quali collocare l’uomo nello spazio-tempo, decretandone in questo modo la condizione di totale immanenza[47].


La coerenza dello storicismo, dunque, come precisa ancora Ottonello nel suo lavoro su Sciacca. Interiorità e metafisica,


è la dissoluzione di ogni significato della storia: in quanto di essa ha annichilito ogni costitutiva finalità che la trascenda, sostituendola con tentativi di assolutizzare e dogmatizzare un’idea di progresso, in realtà svuotandolo di significati che non si riducano all’hic et nunc[48].


In linea con questo preciso riferimento tematico Ottonello ha studiato e recuperato


quali cardini teoretici della posizione integrale del problema della filosofia della storia, Agostino e Vico, ossia due pensatori che hanno mostrato come la storia, privata della sua intrinseca teleologia, finisce per apparire luogo del caso e del non senso[49].


Va rovesciato il nesso storicista: il tempo è fondato dall’essere e non viceversa: la temporalità è possibile perché fondata sull’ontologia[50].


La temporalità è la condizione iniziale della storia: fondare la storia implica fondare la temporalità come dimensione costitutiva dell’essere in quanto storico. La temporalità è dunque fondata solo su una ontologia, cioè nella posizione del tempo come modo costitutivo di un essere[51],


dove l’uomo scopre il suo squilibrio, quel disagio che rivela la drammatica ambiguità esistenziale per cui la storia rinvia al sovrastorico, in conformità, del resto,

alla stessa radice dialettica dell’ex-sistere che apre alla trascendenza[52].

Ciò che è storico e temporale, dunque, rinvia ad una struttura meta-storica: secondo le parole di Ottonello,


la storia è … metafisicamente ordinata nella sua dialettica essenziale con l’eternità che la fonda e per la quale è: la storia è non altro che la storia della libertà umana metafisicamente ordinata al Creatore[53].

Con rigore e vaglio continuo delle filosofie più o meno alla moda che di volta in volta hanno dis-orientato il panorama europeo, Ottonello ha prima letto in modo penetrante e poi ha smascherato l’errore di fondo, in particolare del nostro tempo, che ha negato l’essere e, con esso, ha negato il pensare stesso, un pensare che si è smarrito inoltrandosi per ‘sentieri interrotti’.

Proprio la storia


è il gigantesco teatro ove si rappresenta da troppo tempo questa tragedia e Ottonello ne coglie la dimensione di evento epocale, offrendoci pagine intense di storiografia filosofica[54].


Lo svuotamento spirituale di questo scorcio di secolo della storia e della filosofia europea che egli chiama “impotenza alla metafisica” e dunque “barbarie”, civilizzata solo per l’amplificazione crescente di strumenti, peraltro scambiati per fini[55], tale svuotamento spirituale, dicevo, si connota


nella riduzione dissolutoria dell’uomo e degli enti in quanto tali alla loro mera dimensione fenomenica, anticamera del nulla[56].


Di questo nulla invadente ed onnicomprensivo è immagine evidente il trionfo delle ideologie[57], che si nutrono di basso pragmatismo, avendo eliminato ogni riflessione sul problema del fondamento e avendo scelto la prassi in sostituzione del pensare autenticamente filosofico. Così denuncia Ottonello in Struttura e forme del nichilismo europeo[58]:


l’Europa è essenzialmente una dialettica di omissioni, contrassegnata da forme di riduzione fino alla disintegrazione dell’uomo integrale, ossia dell’unità dialettica ed organica di fede logica scienza,


unità organica e dialettica che è àmbito della sintesi di logos divino e di logos umano[59]. Un tale intero esercizio dello spirito d’intelligenza che esige “la fondazione filosofica dell’intero universo delle scienze”[60], è la carità intellettuale, senza parzializzazioni e riduzionismi, che conserva fame e sete di verità e di coerenza.

Come Ottonello indica nel suo Trattato della Paura, si tratta


di amore totale, dunque di odio per ogni disamore o amore parziale[61],

perché la cultura


cresce sulle proprie oggettive radici metafisiche, o muore: defraudatasi di ogni significato e autenticità di vita e di immortalità, si riduce ai propri fantasmi e incubi[62].

La cultura, infatti, è


perenne lotta (agòn) contro tutto ciò che tende a dividere l’uomo, depotenziandone il dinamismo, la creatività, la libertà. In questo senso lato, in quanto universale, cultura è l’atto della libertà nel suo perenne crearsi attuandosi…[63].


Una cultura che deve avere quale suo fine l’integralità dell’uomo:


creatività di valori e secondo i valori, la cultura è l’attuarsi dell’uomo secondo la sua integralità[64].

L’intelligenza, il cui atto critico fonda la cultura nella sua libera attività creatrice formando l’uomo nella sua interezza[65], ci insegna ancora Ottonello,


è amore di creazione e ri-creazione di rapporti fra gli enti: dei loro significati[66],


in quanto


l’Amore crea e ri-crea: dal nulla all’essere, dalla decadenza alla perfezione[67].

Allora si giunge al culmine della gioia, gioia che


è l’amore e la contemplazione della perfetta armonia fra l’infinità degli strumenti e l’unitotalità del fine assoluto[68].

E nell’infinità degli strumenti c’è anche la riflessione filosofica, il sapere, la ricerca scientifica, la creazione della bellezza artistica. Ma ogni umana attività


è valore pienamente in atto, perfetto, non in sé, ma solo … secondo l’ordine dell’amore, come il fine proprio della persona. L’ordine del sapere –continua Ottonello- ha dunque il suo principio e il suo fine nell’ordine dell’amore.

Entro tale ordine ogni nuova acquisizione del sapere arricchisce le forme dell’attuarsi dell’amore[69].


E’ stato questo, è questo, l’orizzonte primo, fondamentale della teoresi di Ottonello.

Sulla scia dei suoi, dei nostri comuni maestri, egli ha saputo, sa ricreare lo stupore, l’incanto, la meraviglia. E


la meraviglia più grande è scoprire il nuovo di ciò in cui più normalmente siamo immersi: assumendolo in una prospettiva più ampia. Ampliare la prospettiva –[infatti]- è la prima condizione della ri-creazione perenne: l’universalità della prospettiva corrisponde al massimo di creatività, ossia all’attuarsi intero dell’unità di intelligenza e di carità[70].


Credo di dover concludere questo mio intervento, usando le parole che Ottonello ha utilizzato per il maestro Sciacca.

Sono espressioni tanto cariche di gratitudine quanto puntuali ed incisive e riflettono una relazione che si è ri-proposta anche per me nei suoi confronti, che Ottonello, dunque, ha ri-creato in me.

Ebbene, egli ha consumato e consuma nel certamen della metafisica integrale e, aggiungo, dell’ontologia dinamica, della fondazione metafisica del finito,


il martirio dell’intelligenza, cioè il combattimento senza tregua costruttivo e ricreativo contro tutte le tentazioni di fare l’intelligenza riduttiva anziché inclusiva, [di porsi come] analiticità anziché dialetticità creatrice, affermativa, atto di riconoscimento e di riconoscenza verso l’essere creante e gli esseri creati…[71].


[1] Strade maestre, Japadre, L’Aquila 1995, p. 7. [2] Tesi di laurea che Ottonello discusse con il maestro Sciacca nel 1964. [3] Dialogo e silenzio, Studio Editoriale di Cultura, Genova 1990, p. 86. [4] Ontologia dinamica. Prolegomeni, Marsilio, Venezia 2011, p. 79. [5] G. Mattiuzzi, Strade maestre, cit., p. 107. [6] Cfr. Dialogo e silenzio, cit., p. 148. [7] Ibidem. [8] Ivi, p. 110. [9] G. Mattiuzzi, Strade maestre, cit., p. 104. Cfr. P. P. Ottonello, Dialogo e silenzio, cit., p. 62. [10] G. Mattiuzzi, Strade maestre, cit., p. 104. [11] Ivi, p. 108. [12] Cfr. Dialogo e silenzio, cit., p. 25. [13] G. Mattiuzzi, Strade maestre, cit., p. 103. [14] Strutture e forme del nichilismo europeo. Vol. I: saggi introduttivi, Japadre, L’Aquila-Roma 1987, p. 39. [15] Ibidem. [16] L’ontologiadi Rosmini, Japadre, L’Aquila-Roma 1989, p. 10. [17] Ivi, pp. 23- 24. [18] Ivi, p. 34. [19] Ibidem. [20] Ivi, p. 64. [21] Scudisciate all’estetica, Marsilio, Venezia 2000, p. 9. [22] L’ontologiadi Rosmini, cit., p. 43. [23] Ivi, p. 40. [24]Cfr. ibidem. [25] Cfr. ivi, p. 159. [26] Ivi, p. 160. [27] Ivi, p. 42. [28] L’uomo «equivoco», Marsilio, Venezia 2001, p. 17. [29] Cfr. Estructura y formas del Nihilismo europeo, in Strade maestre, cit., p. 36. Si tratta dell’identità dialettica tra creante e creatura che è il cardine del pensiero rosminiano: cfr. L’ontologia di Rosmini, cit., p. 39. Come essenzializza Volpati: “il concetto cristiano di creazione ‘salva’ il pensiero filosofico dall’assurdità nichilistica. Creare significa, ad un tempo, ‘porre’ l’ente dal nulla e porre l’ente ‘con’ il tempo” (F. M. Volpati, Prospettive ontologiche, in Strade maestre, cit., p. 112). [30] G. Mattiuzzi, Strade maestre, cit., p. 45. [31] Strutture e forme del nichilismo europeo. Vol. I: saggi introduttivi, cit., p. 18. [32] Ontologia dinamica. Prolegomeni, cit., p. 24. [33] Cfr. G. Mattiuzzi, Strade maestre, cit., p. 95. [34] Ivi, p. 98. [35] Sciacca la rinascita dell’Occidente, Venezia, Marsilio 1995, p. 27. [36] G. Mattiuzzi, Strade maestre, cit., p. 45. [37] Ivi, p. 46. [38] Ivi, p. 66. [39] Ibidem. [40] Sciacca la rinascita dell’Occidente, cit., p. 42. [41] Il centenario della nascita di Sciacca, Olschki, Firenze 2009, p. 92. [42] L’enciclopedia di Rosmini, Marsilio, Venezia 2009, p. 16. [43] A. Caturelli, Estructura y formas del Nihilismo europeo, in Strade maestre, cit., p. 32. [44] L’enciclopedia di Rosmini, cit., p. 79. “In verità, nessuno come Rosmini, dopo il grande tentativo di Hegel, ha stretto e sciolto grandemente il nodo ‘dell’uno e dei molti’, che segna appunto la strada maestra della coerenza assoluta” (Rosmini «inattuale», Japadre, L’Aquila-Roma 1991, p. 12). [45] G. Mattiuzzi, Strade maestre, cit., p. 68. [46] La barbarie civilizzata, cit., p. 27. [47] G. Mattiuzzi, Strade maestre, cit., p. 62. [48] Sciacca. Interiorità e metafisica, Marsilio, Venezia 2007, p. 24. [49] G. Mattiuzzi, Strade maestre, cit., p. 68. [50] Cfr. ivi, p. 67; P.P. Ottonello, Sciacca e la rinascita dell’Occidente, cit. , p. 75. [51] Studi su Sciacca, Edizioni dell’Arcipelago, Genova 1992, p. 81. [52] G. Mattiuzzi, Strade maestre, cit., p. 66. [53] Studi su Sciacca, cit., p. 89. [54] G. Mattiuzzi, Strade maestre, cit., p. 75. [55] “La barbarie civilizzata è l’accrescimento insaziabile di strumenti che s’acceca e s’assorda a qualsiasi differenza metafisica tra mezzi e fini, alla differenza tra mali essenziali e mali inessenziali, ossia tra il male assoluto e i fini strumentali, generando strumenti solo per generare strumenti senza fine” (La barbarie civilizzata, cit., p. 55). [56] Cfr. Mattiuzzi, Strade maestre, cit., pp. 75- 76. [57] Di fronte al trionfo delle ideologie, “si tratta quindi di liberarci di ogni mitologia dell’assoluto come diveniente nello spazio-tempo e di elevarci con slancio assoluto alla fonte originaria” (ivi, p. 100). [58] Op. cit.., p. 169. [59] Sciacca la rinascita dell’Occidente, cit., p. 15. [60] Rosmini l’ideale e il reale, Marsilio, Venezia 1998, p. 139. [61] Trattato della Paura, Marsilio, Venezia 2003, p. 9. [62] Ibidem. [63] La barbarie civilizzata, cit., p. 21. [64] Ivi, p. 24. [65] Cfr. ivi, p. 21. [66] Trattato della Paura, cit., p. 67. [67] Ivi, p. 93. [68] La barbarie civilizzata, cit., p. 56. [69] Saggi rosminiani, Marsilio, Venezia 2005, p. 44. Cfr. pure ivi, p. 81. [70] La barbarie civilizzata, cit., p. 70. [71] Sciacca la rinascita dell’Occidente, cit, p. 38.

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